giovedì 20 giugno 2013

AUTOAIUTO IN GRUPPO: UN PONTE VERSO L'AUTONOMIA

Nel percorso tortuoso per uscire dalla dipendenza affettiva, la strada maestra è rappresentata dalla convinzione e dalla volontà di perseguire lo scopo primario del proprio benessere e della propria autonomia. Il cammino verso la scoperta di se stessi è spesso ostacolato dalle paure interiori che, anche quando si sperimentano i benefici della propria autodeterminazione, possono ripresentarsi a rideterminare le condizioni di malessere tipiche della dipendenza affettiva.


Accade spesso, anche dopo la fase cognitiva di razionalizzazione del problema e il conseguente sollievo determinato dalla scelta di autosostenersi, di vivere una fase regressiva che riconduce il dipendente al punto dal quale era partito, una sorta di effetto rebound a connotazione affettiva, nella quale si ristabiliscono le condizioni relazionali di vicinanza e prossimità con l'altro che, lungi dall'essere "quel" soggetto corrispondente alle aspettative di accettazione e nutrimento, ripropone la stessa risposta di rifiuto, di disconferma, di negazione.
Nell'esperienza di sconforto che si genera a seguito della fase di ricaduta ad effetto rebound è fondamentale il sostegno della condivione all'interno di un gruppo di autoaiuto, dove i diversi punti di vista dei membri servono, a livello individuale, come ancoraggio alla realtà. La restituzione delle proprie impressioni, rispetto ai vissuti narrati, richiamano il soggetto alla consapevolezza delle proprie risorse e lo riconducono al qui ed ora delle proprie scelte.
Il focus sulle proprie potenzialità, sostenuto dalla restituzione spontanea del gruppo, consente di gestire l'emotività negativa legata alle paure irrazionali ed ai pensieri disfunzionali ad esse correlate, quali ad esempio, la paura di piacere agli altri, il timore del successo, l'ansia da prestazione.

La momentanea fase di inversione di marcia rispetto al percorso intrapreso verso il proprio benessere è un passaggio durante il quale si comprende e si mette a confronto l'esperienza di benessere con l'esperienza di rifiuto, una sorta di confronto tra ciò che è "bene" e ciò che è "male", tra ciò che costituisce una conferma e ciò che rappresenta una disconferma.

In questo processo di ridefinizione dell'essere in relazione con l'altro, sembra entrare in gioco la propria visione di se stessi e del mondo, in una continua ricerca del proprio equilibrio affettivo che si determina nella relazione con l'oggetto d'amore. Così la modalità di entrare in relazione è,  come sosteneva Binswanger (1973), rivolgersi alla persona nel suo esser-ci per e con l'Altro.

La persona si realizza attraverso la sua possibilità di declinarsi attraverso l'amore e lo scambio con l'altro, e ciò rappresenta il rischio che la propria libertà sia limitata, in quanto condizionata dall'accettazione dell'altro. Il difficile equilibrio della relazione, si concretizza nel rispettare l'altro senza tradire se stessi, senza dover modificare ciò che si è per corrispondere alle esigenze altrui. Soltando rispettando se stessi, si avrà una vita autentica, si avrà la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità, riconoscendosi nell'esistenza che si conduce, altrimenti si andrà incontro a un'esistenza inautentica, in quanto si è tradito il proprio fondamento (Costa, 1987).

Angela Tosoni

Riferimenti bibliografici:
Biswanger, L. (1973), Essere nel mondo. Astrolabio, Roma.
Costa, A. (1987), Il mondo come progetto. Studiorum, Roma.

lunedì 10 giugno 2013

CRESCERE IN RELAZIONE

La vita affettiva dell'adulto si sviluppa attraverso relazioni privilegiate, a forte connotazione emotiva, queste relazioni (ed in particolare la relazione amorosa) hanno una funzione nutritiva nell'evoluzione individuale. L'affettività nutriente, centrale allo sviluppo, determina la capacità di interagire con la realtà esterna, mettendo in atto quelle competenze relazionali che sono distintive dell'equilibrio esistenziale, quali l'autostima, la fiducia in se stessi, la possibilità di affermarsi.
Lo spazio del benessere soggettivo si snoda in un continuo scambio relazionale dove l'incontro con l'altro è intersoggettività, ovvero possibilità di mutuo arricchimento che favorisce l'evoluzione.

La relazione privilegiata, così come la relazione amorosa, si realizza in un continuum di DIPENDENZA e DIFFERENZIAZIONE, dando luogo a quelle caratteristiche di incertezza tipiche dello scambio con l'altro. Il concetto di differenziazione dell'"io" rispetto al "noi" è centrale nell'equilibrio della coppia e si connota come "delimitatore" dello spazio personale, rispetto all'eccessiva fusione presente nelle dinamiche intersoggettive della coppia stessa.

La differenziazione è spesso temuta, soprattutto dai soggetti affettivamente dipendenti, come possibile forza distruttiva che espone al rischio di abbandono. La paura dell'abbandono è un rischio costante a cui si è esposti nella vita di relazione, spesso è una condizione ed una percezione soggettiva e come esperienza esistenziale presente nella vita dell'adulto, rende vulnerabili ed esposti alla sofferenza (Winnicott, 1974).

L'esperienza di sofferenza correlata al senso di abbandono è necessaria alla crescita evolutiva: il bambino per evolvere in modo sano, si separa dalla simbiosi materna, se così non fosse ne resterebbe soffocato! Allo stesso modo, l'esperienza di abbandono nell'età adulta, permette di sviluppare il concetto di solitudine esistenziale, superando l'illusione del "per sempre". La solitudine interiore, quello stato particolare di "essere con se stessi", non può essere trasmesso all'esterno, nemmeno nel più intimo dei rapporti affettivi.

La solitudine esistenziale, esperita come condizione umana, più che come "senso d'abbandono" rappresenta una conquista, cioè la capacità di "essere per se stessi", di "bastare a se stessi", solo raggiungendo tale conquista, si può sciogliere il giogo del legame che impedisce l'autonomia emotiva. Solo bastando a se stessi, si realizza l'esperienza interiore di autocontenimento, di prendersi cura di sé, presupposto fondamentale che consente di superare il rischio dello stress emotivo che si vive nelle relazioni disfunzionali.

Nell'esperienza di autocontenimento vi è un maggiore benessere individuale e, conseguentemente, una migliore capacità d'interagire con l'altro, attuando quelle modalità flessibili che permettono di essere "con" l'altro e "per" l'altro tanto quanto "con" e "per" se stessi, in un divenire costante che regola la nostra esperienza intersoggettiva con il mondo.

Angela Tosoni

Riferimenti bibliografici:

Winnicott, D. (1974) Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Armando, Roma.

martedì 14 maggio 2013

Amore fantasticato e paura dell'intimità

Gli amori intensi e basati sulla fantasia hanno una funzione “difensiva”. Moltissime sono le persone che sentono il bisogno di tradire il/la partner con cui liberamente hanno scelto di dividere la propria vita e di cui peraltro non riuscirebbero a fare a meno (anche il tuo chattare può essere considerata una forma di tradimento, come ben sai, se non altro a livello di fantasia). Gli amanti, le relazioni clandestine sono sempre esistite, dal tempo dei tempi e ben prima che nascesse Internet, e non possono essere risolte facilmente,  il loro amore si rinforza nella clandestinità, nel luogo fantastico dell'altrove irraggiungibile. Più è impossibile la realizzazione della "storia" su un piano di realtà, più sono “amanti”, cioè più sono clandestini, più esiste una coppia ufficiale dalla quale sono esclusi, in una dimensione di esclusione/esclusività, da l'illusione dell'amore profondo, contrastato, irrealizzabile e quindi perfetto. Se la questione degli amanti fosse una questione di amare un’altra persona più del(la) partner, allora basterebbe separarsi e mettersi con l’amante, ed il "problema" sarebbe risolto...
 Ma non a caso ciò viene evitato da quasi tutti. Naturalmente a livello conscio questa verità non viene riconosciuta, anzi, gli amanti soffrono e si lamentano della loro condizione. Eppure vi sono innumerevoli esempi che dimostrano che la condizione dell’amante è bella appunto proprio perché è clandestina, irregolare, è da questa condizione di non ufficialità che trae la sua linfa vitale. Se la coppia ufficiale si separa, non raramente anche gli amanti subito si separano perché cessa improvvisamente l’amore, l’attrazione sessuale che prima era così forte ora non c’è più. Oppure, se la coppia degli amanti diventa quella ufficiale, presto uno dei due sente uno strano desiderio di innamorarsi di un’altra persona, si guarda attorno, prova varie simpatie, sente il bisogno di ricreare una situazione triangolare.

Come si spiega tutto ciò? La psicologia ha proposto tante teorie al riguardo. La psicoanalisi ad esempio, fin dai tempi di Freud, affrontò questo problema di petto, e fece l’ipotesi che vi fosse una paura inconscia verso la condizione monogamica, ufficiale, “normale”, paura che inevitabilmente porta alla frigidità e alla depressione (pensa a quelle tante coppie di coniugi che, totalmente ignari delle proprie dinamiche inconsce, razionalizzano la loro difficoltà a stare bene insieme dicendo che alla sera “si annoiano a guardare sempre la televisione”, oppure a quelli che dicono che “è la convivenza che toglie vitalità al matrimonio quando ben sappiamo che per altre coppie è proprio la convivenza che fa crescere i sentimenti e il piacere di stare insieme).
Il bisogno profondo di vivere qualcosa di bello con la propria fantasia, di “evadere”, di provare sentimenti intensi — bisogno perfettamente legittimo — potrebbe insomma essere concepito non “in positivo”, ma “in negativo”, cioè come il tentativo disperato di provare determinati sentimenti dato che il soggetto non riesce a provarli nel modo “normale” perché ne ha paura. L’unica possibilità per lui è appunto di viverli in un situazione non vera, parziale, non ufficiale, in cui si sente meno responsabile di quello che fa, forse meno “in colpa” (infatti è proprio il senso di colpa — di natura incestuosa, derivante dalla identificazione nella coppia dei genitori — una delle ipotesi avanzate dalla psicoanalisi per questi fenomeni, riconducibili per brevità al paradigma classico dell’isteria). Chi quindi gode tanto in questi bei rapporti di fantasia (e, appunto, non di realtà!) non sarebbe più virile o interiormente più ricco, non avrebbe una vita affettiva più intensa, ma sarebbe semplicemente un impotente, una persona che ha paura della intimità affettiva e sessuale, forse anche della amicizia vera.
di Consuelo Vaccarella

giovedì 18 aprile 2013

EZIOLOGIA DELL'AMORE E SVILUPPO DEL SE'

La capacità di costruire relazioni affettive nutrienti è alla base dello sviluppo individuale e del benessere psicofisico. Nella teoria del Sé elaborata da Heinz Kohut vengono evidenziati gli elementi evolutivi  dello sviluppo della personalità, e tra questi, viene illustrato il narcisismo sano e costruttivo. Infatti, Kohut ritiene che per compiersi lo sviluppo del Sé individuale, si debba passare dal Sé nucleare e successivamente arrivare ad un Sé coesivo adulto.
In questo processo il narcisismo svolge una funzione necessaria e strutturante per la crescita e la maturazione affettiva. Kohut individua un narcisismo fisiologico, vissuto dal bambino attraverso la fase di grandiosità ed onnipotenza, che successivamente, nell’interazione con le figure di riferimento, si sviluppa in narcisismo sano e costruttivo che si esprime in autostima ed aspirazioni, laddove l’interazione adulto/bambino è corrispondente ai bisogni di crescita e di riconoscimento empatico.
Il narcisismo è quindi una dimensione primaria della vita psichica, e soprattutto, della vita emotivo-affettiva di relazione. Si esprime come elemento presente sin dalla nascita e caratterizza quello che Kohut chiama Sé nucleare.
Il narcisismo primario reca in sé le caratteristiche di grandiosità, onnipotenza, invulnerabilità. Tali aspetti, tipici della vita infantile, non scompaiono con lo sviluppo e tendono a riemergere nella vita adulta in situazioni – nei rapporti affettivi – che riattivano queste dimensioni arcaiche.
Lo sviluppo del Sé è attivato attraverso il supporto delle figure parentali, nello scambio individuo/ambiente e si attua nel mutevole equilibrio piacere/dispiacere che riconduce il bambino, dalla dimensione di onnipotenza, al principio di realtà.
Nella vita adulta, l’evoluzione narcisistica si concretizza nel dominare e relativizzare queste caratteristiche primarie della vita relazione, in modo flessibile ed aderente ai bisogni intersoggettivi, per poterne recuperare gli aspetti necessari nelle fasi di regressione reversibile, quali possono essere il senso di appartenenza e di esclusività, come esperienze vissute all’interno della relazione amorosa.
In tal senso, il narcisismo sano e costruttivo - ovvero l’amore di sé, l’autostima, la fiducia in sé stessi – sono fattori indispensabili nei rapporti affettivi maturi e sono i prerequisiti dell’amore, piuttosto che una loro conseguenza! Inoltre, questi fattori presenti nell’individuo adulto come espressione di una raggiunta maturità soggettiva, si alimentano ed aumentano esponenzialmente nella relazione amorosa: un individuo che ama appassionatamente sente crescere la propria autostima poiché l’intensità emozionale gli fa percepire ed affermare se stesso.
Questa esperienza necessita di un sé coeso che può essere solo rafforzato dall’amore, infatti, ogni esperienza intensa può solo intensificare il senso del sé.


Angela Tosoni

Riferimenti bibliografici:
Carotenuto A. (1991) Trattato di psicologia della personalità. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Kohut, H. (1982) La ricerca del Sé. Boringhieri, Torino.

venerdì 5 aprile 2013

MI AMI? MA QUANTO MI AMI?

La dipendenza affettiva inizia quando manca la capacità di vivere il rapporto di coppia come alternanza tra momenti di separatezza e momenti di fusionalità, quando all’altro si richiede un costante ruolo protettivo, una costante dedizione o  “impegno”, quando l’amore non è più fonte di arricchimento, ma compensazione di qualcosa che supplisce il senso di vuoto. Accade così che la paura di perdere l'altro e i bisogni eccessivi di protezione e rassicurazione hanno come conseguenza una sorta di vincolo: il rapporto non più un incontro tra due anime, ma diventa una gabbia affettiva, una limitazione reciproca, dove le dinamiche comportamentali, sono determinate da fasi disfunzionali, dove la relazione si trasforma da nutrimento in tormento.

Le fasi in atto nella dipendenza affettiva:


Chi soffre di dipendenza affettiva tende a sviluppare relazioni con persone che soddisfano i bisogni di cura e protezione, vivendo, solitamente,  delle fasi, ossia dei veri e propri circoli viziosi all’interno della coppia, che di solito servono a perpetuare e rinforzare le difficoltà della relazione.
Nella dipendenza sentimentale si osservano tre fasi interpersonali che possono svilupparsi nella relazione di coppia:

La fase dell'idealizzazione/compiacenza: in cui il partner viene idealizzato, soddisfatto, e  i suoi bisogni vengono visti come prioritari, al fine di ricevere in cambio attenzioni. Se questa aspettativa viene soddisfatta, almeno inizialmente, l’altro si sente gratificato, risponde alle attenzioni dandone a sua volta e adotta il ruolo di guida. Il soggetto dipendente, conseguentemente, sviluppa senso di realizzazione. Al contrario, nel caso in cui l’altro non dia l’attenzione desiderata, il soggetto entra in uno stato di paura, minaccia e ansia di essere abbandonato. 

Chi soffre di dipendenza affettiva tende a fare propri gli scopi e gli obiettivi altrui, per dare significato e senso alla propria esperienza: gli altri sono idealizzati e investiti di potere, del ruolo di guida, il loro punto di vista è assunto come prioritario. Quando le scelte altrui sono incompatibili con i propri scopi personali, il dipendente affettivo inizia a sentire un senso di inadeguatezza di costrizione, al quale reagisce con sofferenza emotiva, nella quale possono emergere di sentimenti di rabbia, ai quali si innescano rapidamente i sensi di colpa, una forte autocritica, la paura di abbandono e di punizione che lo spingono ad attuare strategie riparative per mantenere salda la relazione.

Diversamente, se l’altro reagisce in maniera distaccata o esercita il proprio ruolo di potere, si sviluppa una fase di abnegazione.

La fase masochista: si innesca a seguito delle continue attenzioni che il dipendente affettivo riversa sull’altro, che, sentendosi oppresso dalle eccessive richieste tenta sottrarsi dalla relazione. Il comportamento del dipendente, allora, si trasforma da compiacente a  sottomesso, nel tentativo disperato di piacere a tutti i costi. “Sono disposto a fare tutto per te!” sembra dire il dipendente, alimentando così nell’altro l’idea che può continuare ad esercitare il suo potere richiedente.

Quando, però, la relazione si basa esclusivamente sul dominio e sul potere si perde il senso del rapporto, si vive nella sensazione di non avere valore per l'altro, ci si sente vulnerabili, vittime del controllo che l'altro esercita facendo leva sui punti deboli (ovvero sui sentimenti di paura e di abbandono) del love addicted. Vivendo nel timore della rottura della relazione e sperimentando il senso d'abbandono, l’individuo dipendente attua una strategia di abnegazione, replicando i comportamenti sottomessi, che lo imprigionano all'interno di un paradosso: rinforzare il potere dell'altro.

Questa fase è caratterizzata dall’incapacità di integrare i vari momenti della relazione e di identificare l’immagine dell’altro come distaccato e distante, l’oggetto d'amore è visto come oggetto irraggiungibile, come unico tramite possibile con il quale poter vivere l'ebbrezza e la felicità amorosa, la rievocazione dei momenti felici trascorsi insieme diventano pensiero ricorrente. Non si è in grado, quindi, di vedere l'indifferenza dell'altro come comportamento finalizzato a mantenere il potere ed il controllo, al contrario, questi atteggiamenti sono giustificati, perchè li si attribbuisce ad una propria condotta esagerata o inadeguata.

La fase confusionale: si realizza quando si ha una scarsa capacità di gestione della relazione e il bisogno continuo e costante di consigli e rassicurazioni. Il partner è spesso coinvolto in rituali di rassicurazione, ciò fa sì che  la risposta affettiva sia discontinua, oscillando tra  la dimostrazione di affetto, da una parte, e il tentativo di distanziarsi e allontanarsi dalle pressanti richieste, dall’altra.

Ovviamente, questo atteggiamento non facilita, nel soggetto dipendente, la costruzione di una fiducia in se stesso e nel rapporto, al contrario, il comportamento dell'altro è visto come imprevedibili e ambivalente, il che non fa che aumentare la paura d'abbandono e la richiesta di ulteriori rassicurazioni, rafforzando così una dinamica disfunzionale.


Angela Tosoni


lunedì 18 febbraio 2013

LOVE SICKNESS E CURA DI SE'

 Nella dipendenza affettiva l’amore per l’altro, totalizzante e paralizzante,  impedisce al soggetto dipendente di percepirsi come unità separata dall’oggetto del proprio amore. L’altro, l’amato diventa il focus principale dei propri pensieri, delle attenzioni, ogni energia, ogni impulso vitale si concentra sull’oggetto d’amore senza soluzione di continuità. Questo stato di cose, caratteristico della condizione dipendente, oltre a far stare male, mette l’altro in fuga, lo rende refrattario proprio a causa dell’intenso focus di attenzioni che riceve.
La relazione, quando diventa “tossica”, quando rende ossessionati dall’altro al punto di perdere interesse per se stessi, non è più amore: diventa dipendenza!
Dall’iniziale sentimento d’amore, dove il cuore batte forte e si vivono intense emozioni, si passa alla paura dell’abbandono, costante e reiterata, alla sofferenza, allo smarrimento se l’altro non c’è. E allora dell’amore non rimane che un ricordo vagheggiato, un anelito al quale aspirare con struggente desiderio, certi che “così come io ti vorrei… non ti avrò mai!”
Alcune relazioni, quelle dipendenti, sono dannose, nocive, sono, appunto, espressione di un disagio, di un amore che, invece che far star bene, fa stare male!
Alcune dipendenze, nella nostra cultura, sono ormai codificate come patologia, la dipendenza da sostanze, da alcol, da gioco, altre sono dipendenze sommerse, di cui poco si parla, e tuttavia non sono certo meno dilaganti ed invalidanti. Tra le dipendenze, la dipendenza affettiva resta quella più silente, non da effetti collaterali eclatanti, non ha un eco sociale molto forte, se non nella mente di chi ne è posseduto. Il copione segue uno schema preciso che non è quello della reciprocità: uno insegue e l’altro fugge! E così l’altro diventa qualcuno da inseguire, da convincere, da capire, da controllare, da carpire, da possedere eccetera eccetera.
Si innesca una lotta senza fine, poiché in queste storie dannose non c’è libertà, non c’è rispetto, non c’è amore. C’è bisongo, c’è lotta per il potere, a volte c’è violenza. C’è fame dell’altro, una fame che divora e fagocita, dove l’altro viene vampirizzato e introiettato, ma mai visto per quello che realmente è.

Come se ne esce?
Come da qualsiasi dipendenza! Rimettendo se stessi al centro, se stessi e la cura di sé! Ricostruendo la propria autostima ed imparare ad esistere per se stessi, riempire la propria esistenza con l’amore e la cura di sé! Soddisfacendo i propri bisogni, assumendosi la responsabilità di accudirsi. E’ un cammino lungo, fatto di sentieri tortuosi e ricadute, tuttavia è la strada per prendersi cura del nostro bambino interiore, per imparare a contenersi. Questo scopo è più condivisibile e più raggiungibile in un gruppo di auto aiuto, dove la condivisione dell’esperienza permette ai singoli di sostenersi di incontrarsi su una base comune di emotività condivisa. In un gruppo di auto aiuto si può imparare a stare bene con se stessi, sentirsi completi, esseri armoniosi e creativi, amandosi ed accettandosi pienamente per ciò che si è e si può essere.

Angela Tosoni

venerdì 7 settembre 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA E BISOGNI PRIMARI

Cos’è il bisogno? In psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale degli elementi che costituiscono il benessere della persona. E’ una tensione imperativa dovuta a qualcosa che manca, ad uno squilibrio dell’organismo che determina una privazione e come tali i bisogni possono essere considerati delle spinte motivazionali ad agire, come se una forza ci spinge alla ricerca di una risposta soddisfacente. Il bisogno viene definito primario quando è impellente e deriva da sollecitazioni organiche che sono radicali, estreme e necessarie a ristabilire un equilibrio fisiologico; ad esempio la fame, la sete, il sonno: tutti noi abbiamo esperienza della spinta motivazionale che ci porta ad attuare un comportamento, alla ricerca del benessere psicofisico. Negli anni 50 Abraham Maslow, ha definito una gerarchia dei bisogni. Alla base di questa piramide Maslow ha collocato i bisogni fondamentali dell’individuo, legati cioè alla sopravvivenza, definendoli bisogni primari: ed allora vediamo che al primo posto ritroviamo i bisogni fisiologi. Immediatamente dopo, sempre tra i bisogni primari, troviamo i bisogni di sicurezza, di affiliazione, di accudimento, di attaccamento, di protezione. Questi bisogni sono considerati degli step, dei gradini, e cioè non si può soddisfare un bisogno superiore nella scala gerarchica se non si è soddisfatto un bisogno immediatamente precedente. Infatti la piramide definisce i bisogni partendo da quelli primari che si esplicitano sin dai primi giorni della vita del bambino per arrivare via via a bisogni più articolati e complessi che caratterizzano la vita dell’adulto.

Ora, perché parliamo di bisogni in relazione alla dipendenza affettiva?Perché le nostre relazioni, le relazioni umane, non solo la relazione col partner, anche le relazioni con i nostri familiari, i nostri amici, persino quelle con i nostri colleghi, tutte le relazioni che sono per noi significative soddisfano dei bisogni fondamentali: quando costruiamo una relazione di tipo significativo, lo facciamo per soddisfare il nostro bisogno di sicurezza, di affiliazione, di attaccamento, di protezione, di appartenenza.


Quante volte, nei momenti difficili che ci ritroviamo a vivere, ci è di conforto la parola di un amico che ci comprende e ci supporta? O ancora, quanto ci fa sentire meglio la condivisione di un’esperienza, bella o brutta che sia, se accanto a noi c’è qualcuno che ci piace, che ci sta vicino, che ci ama, che ci capisce? E quanto ci gratifica l’approvazione, l’incoraggiamento o anche la sola idea di piacere a qualcuno che per noi conta! Per dirla in breve, l’uomo è un animale sociale e tutto nella sua esistenza si compie attraverso la relazione con l’altro. Non si può non stare in relazione.
Quindi quando parliamo di relazioni affettive parliamo di soddisfazione di bisogni fondamentali per l’individuo. Ogni volta che instauriamo una relazione affettiva ci dovremmo chiedere: quale mio bisogno soddisfa questa relazione? Ovviamente, ciò che a noi interessa, per affrontare il tema della dipendenza affettiva, non è una relazione qualsiasi, il nostro focus, il nostro oggetto di attenzione è la relazione per eccellenza e cioè la relazione amorosa. Possiamo considerare la relazione amorosa come fonte di nutrimento per il nostro bisogno di sicurezza e di appartenenza, essere con l’altro, con la persona che amiamo, ci fa sentire realizzati; sentirci legati in una relazione privilegiata con qualcuno che ci piace è qualcosa di altamente gratificante e soddisfacente. La relazione amorosa quindi, soddisfa il nostro bisogno di appartenenza in quanto nell’altro ci riconosciamo, ci ritroviamo, e allo stesso tempo la relazione amorosa soddisfa il nostro bisogno di trascendenza, il bisogno di esistere per l’altro e non solo per se stessi. Nell’altro ci si ritrova e si raggiunge una completezza attraverso un equilibrio di dare e avere.
Parliamo di dipendenza affettiva quando quell’equilibrio di dare e avere che caratterizza le relazioni di coppia si altera. Secondo alcuni autori la dipendenza affettiva è una difficoltà relazionale che interessa al 90% le donne, ma sembrerebbe in crescente aumento anche tra gli uomini. Chi soffre di dipendenza affettiva, sia esso uomo o donna, tende a ricercare nella relazione amorosa uno stato fusionale con il partner, il dipendente affettivo ha un’eccessiva necessità di simbiosi nei confronti della persona amata, non solo, il partner, la persona amata diventa così prioritario su tutto che si è pronti a sacrificare ogni cosa: interessi personali, desideri, aspettative, ambizioni professionali, crescita personale. Il dipendente affettivo vive nei confronti della persona amata in una condizione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accudito, riconosciuto, amato, considerato, come se l’altro fosse vitale, necessario al proprio essere. E siccome l’altro è vissuto come necessità imprescindibile, tutto il resto passa in secondo piano. Vengono meno tutte quelle funzioni dell’io che determinano la percezione di se stessi come esseri autosufficienti, quali la propria autonomia, la propria autostima, il rispetto di se stessi.
In sostanza, il dipendente affettivo rinuncia a sé, ai propri bisogni in favore dei bisogni dell’altro, ed ecco perché nell’occuparci di dipendenza affettiva è opportuno farlo partendo proprio dai bisogni. Il dipendente affettivo è disposto a rinuncia ai propri bisogni e alle proprie necessità pur di mantenere in essere la relazione, anche quando la relazione non è più gratificante, anche quando la relazione ha un costo molto alto.
A questo punto, la domanda che ci dobbiamo rivolgere è: perché si arriva a rinunciare a se stessi pur di non perdere l’altro? Spesso, dietro una relazione disfunzionale di tipo dipendente soggiacciono delle nostre paure nascoste, che sono direttamente collegate a quei bisogni di sicurezza e protezione di cui abbiamo parlato. La paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine. Queste paure sono paure di natura antica, sono le paure esistenziali che hanno da sempre caratterizzato l’essere al mondo dell’uomo. Queste paure sono la “cifra” del nostro essere “umani”, ci danno la dimensione e i limiti della nostra umanità. Ci ricollegano con la nostra venuta al mondo, con l’essere riconosciuti e accettati come individui, con l’essere amati e accettati per ciò che siamo.
Le paure antiche si ricollegano alla prima infanzia, al rapporto simbiotico che nei primi mesi di vita il bambino sviluppa con la madre, infatti i primi mesi di vita sono fondamentali per lo sviluppo psicologico dell’individuo: è in questo periodo che si sviluppa uno stile di attaccamento che sarà alla base (cosidetto “effetto base sicura”) della futura capacità di essere in relazione. E’ da questa base che si parte per avviarsi nella vita di relazione con il mondo, in un viaggio che si snoda dall’io indifferenziato del neonato, all’io identificato dell’adulto capace di entrare in relazione con l’altro, attraverso un processo di identificazione che si realizza salendo via via nella scala dei bisogni individuali delineati da Maslow.
Nella sofferenza sperimentata dal dipendente affettivo, nella rinuncia di sé che si vive come dipendenti, si ritorna ad uno stato simbiotico, ad un bisogno, come abbiamo detto precedentemente di tipo fusionale, uno stato dove viene meno l’autonomia individuale, costruita attraverso la crescita e lo sviluppo personale. E’ per questo che il focus dell’attenzione è sui bisogni, proprio perché solo prendendo coscienza della radice “genetica” dei bisogni individuali, dello sviluppo psicologico, dello stile di attaccamento possiamo occuparci del nostro benessere e del benessere delle nostre relazioni. Solo riconoscendoli possiamo occuparci dei nostri bisogni, se non li riconosciamo o peggio ancora li neghiamo, non possiamo occuparcene in modo sano né tanto meno dare ad essi una risposta.
Angela Tosoni
Bibliografia:
Maslow A. H. (1962), Verso una psicologia dell’essere. Astrolabio, Roma