martedì 17 gennaio 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA, NO GRAZIE!




Si parla di dipendenza affettiva quando il “rapporto d’amore” è vissuto come condizione stessa della propria esistenza.
Le persone che ne sono affette vedono nell’altro la fonte di ogni benessere e, pur di non rischiare di perdere l’oggetto del loro amore, sono disposte a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale fino al punto di annullare il proprio Sé.
Queste persone passano la loro vita a mendicare l’“affetto”dell’altro; lo idealizzano per sopperire ai sentimenti di inadeguatezza, vuoto, ansia, impotenza, scarsa autostima, non amabilità, che si trovano a fronteggiare.
L’importanza attribuita all’oggetto amato spinge il dipendente affettivo a preservare il rapporto "sentimentale" ad ogni costo, fino ad assumere un atteggiamento di assoluta “dedizione”, adoperandosi affinché i bisogni e i desideri dell’altro vengano sempre soddisfatti.
Questo atteggiamento è spiegato dal fatto che, nella dipendenza affettiva,    la persona vive costantemente nel terrore di poter perdere la persona amata, evento considerato insopportabile.

Si definisce appunto “dipendenza” affettiva per sottolineare il fatto che, proprio come per le dipendenze da sostanze (ad es., droga, alcol, tabacco), il soggetto non può rinunciare, (pena “la crisi d’astinenza”) all’oggetto amato, ma anzi, con il passare del tempo, richiede “dosi” di presenza o vicinanza sempre maggiori.
La Dipendenza d’Amore trova le radici nell’infanzia di queste persone, i cui bisogni d’amore, affetto ed accudimento sono stati frustrati. Nella relazione con le figure significative infatti il bambino impara, attraverso le cure e la sensibilità dell’altro, che egli “è una persona degna d’amore”: è questo sentimento, a nutrire il suo amor proprio e la sua fiducia verso se stessi e gli altri.  

I soggetti che sviluppano la Dipendenza Affettiva non hanno introiettato questo sentimento ma, al contrario, si sono convinte (talvolta in modo inconsapevole) “che i loro bisogni non contano” o che “ non sono degne di essere amate”.



Ma qual è il margine di intervento in caso di dipendenza affettiva?

Cosa si può concretamente fare per uscirne?



Sicuramente il primo e imprescindibile passo consiste nel rafforzare la propria identità e conseguentemente la propria autostima. Questo significa imparare a conoscerci nei nostri bisogni e desideri più autentici ed è possibile soltanto attraverso una serie di esplorazioni in grado di darci delle indicazioni su noi stessi e in particolar modo su quelle parti di noi che di solito tendiamo a non far emergere, a non riconoscere.

Soltanto quando si è in grado di soddisfare i propri bisogni è possibile operare un autoaccudimento che ci rende genitori buoni di noi stessi e ci rende meno dipendenti dal giudizio degli altri.

Ciò significa, scendendo nel concreto, crearsi una vita ricca e piena, assumersi la responsabilità delle proprie scelte senza cercare più un'appiglio, un ancora di salvataggio nell'altro, che rappresenterà per noi, non più un approdo di cui abbiamo disperato bisogno, ma un'isola su cui sostare serenamente per qualche tempo (condivisione), per poi poter riprendere il largo (autonomia ed esplorazione); fermo restando che quando lo desidereremo potremo sempre farci ritorno. Ma sarà una nostra libera scelta, non più un disperato bisogno.

Conoscersi, accettarsi imparare ad amarsi per quello che si è, per poi prendere in mano le redini della nostra vita e la responsabilità del nostro cambiamento.
Si tratta sicuramente di un cammino arduo, con possibili ricadute e giornate no, ma a poco a poco possiamo imparare a prenderci davvero cura di noi e ad essere "integrati nella nostra complessità e pienezza".

In questo senso un gruppo di autoaiuto agevola il processo di cambiamento perché, attraverso la condivisione, si esce dall'isolamento e grazie al sostegno e all'incoraggiamento dei "compagni di viaggio" si riescono a mettere in atto una serie di strategie in grado di modificare i nostri pensieri e i nostri comportamenti disfunzionali.

Il Gruppo di Autoaiuto Gada ha come intento proprio quello di fornire accoglienza e sostegno a tutti coloro che si riconoscono dipendenti affettivi o che in ogni modo riscontrano nella loro vita difficoltà relazionali.      

                                                                   Michaela Sbarra