martedì 13 dicembre 2011

DIPENDENZA AFFETTIVA E RELAZIONI OGGETTUALI

Nello svilupparsi degli incontri del gruppo di auto aiuto le esplorazioni condivise in relazione al tema “dipendenza affettiva” presentano un forte legame tra quanto vissuto nel qui ed ora nelle esperienze di relazione con ciò che è accaduto “altrove”. L’altro, l’oggetto dell’attenzione e della carica affettiva, dal quale è difficile rendersi autonomi e indipendenti viene vissuto come presenza totalizzante che si aggancia ad un bisogno inespresso e il più delle volte inconscio. Spesso questo altrove rimanda alla relazione con le figure di attaccamento, alle relazioni oggettuali così come le ha definite da Melanie Klein nei primi studi psicoanalitici sullo sviluppo del bambino. Numerosi studi scientifici hanno ormai reso noto che esiste uno stretto connubio tra lo stile di attaccamento sviluppato nelle relazioni primarie della vita infantile e la modalità di essere in relazione manifestata nella vita dell’adulto. Dopo la Klein, troviamo tra gli autori che hanno indagato la dimensione della relazione primaria Winnicott e Bolby, che hanno descritto la relazione di attaccamento partendo dalle sue caratteristiche e individuandone le modalità attraverso le quali la relazione si sviluppa. Prima ancora, gli studi di Spitz avevano già evidenziato le possibili patologie sottostanti le carenze di cure parentali nelle varie fasi dello sviluppo psicologico del bambino. Margaret Mahler ha approfondito le caratteristiche della relazione oggettuale e le sue implicazioni nella vita affettiva dell’adulto ne “La nascita psicologica del bambino”. Tutti gli studi effettuati nel corso degli anni tendono ad evidenziare le possibili disfunzionalità derivanti da un arresto nello sviluppo affettivo nei primi anni di vita, tali studi hanno ormai stabilito che la fase 0-3 anni è il periodo critico nel quale si gettano le fondamenta dello sviluppo psicologico dell’adulto, la cosiddetta base sicura.La madre con le sue cure e la sua identificazione con il bambino impara a conoscere e a rispondere ai suoi bisogni e gli permette il passaggio da uno stato di autismo primario a una graduale consapevolezza dell’ambiente esterno, attraverso un rapporto di tipo simbiotico, come Margaret Mahler ha efficacemente descritto” (G. Bollea, 1980).
Poiché la relazione oggettuale è funzionale alla sopravvivenza, la sua possibile compromissione mette in pericolo di vita il soggetto che ne è dipendente. E’ da questa condizione di dipendenza che si snoda il processo di individuazione e separazione (M. Mahler, 1978) attorno al quale si costruisce la vita psicologica dell’adulto, con particolare riferimento alla sua capacità di vivere relazioni affettive gratificanti.
Dunque, la correlazione esistente tra relazione oggettuale infantile e capacità e qualità della vita emotiva dell’adulto rappresenta la dimensione intrapsichica della indipendenza/dipendenza affettiva.  Tale dimensione entra in gioco ogni qual volta si sceglie una figura affettiva che assume un significato prioritario ed emergente rispetto ad un’alterità indifferenziata. Ciò significa che si può sviluppare una forma di attaccamento dipendente non soltanto verso la persona della quale “ci si innamora”, ma anche nei confronti di persone che scegliamo in quanto esseri speciali, persone che hanno quelle caratteristiche che ci riportano a quell’esclusività del rapporto simbiotico sperimentato “altrove”, o ancora, persone che hanno per noi una valenza affettiva legata alla qualità della relazione che abbiamo con esse.
Non a caso, laddove si sviluppa dipendenza con una figura significativa, l’adulto torna a quello stato simbiotico che costituisce la fase iniziale della relazione oggettuale e che coincide con il primo stadio di evoluzione psicologica del bambino. Proprio come il neonato necessita di cure costanti e continue da parte di una figura primaria di attaccamento, che ne determina la sopravvivenza, l’attaccamento o l’innamoramento nell’età adulta ripercorre lo stesso modello di interazione della fase simbiotica. Lo stato simbiotico esige un rapporto esclusivo con l’oggetto d’amore ed è escludente nei confronti del resto del mondo, esperito come ostacolo alla relazione. L’esclusività della relazione assume così una doppia valenza: una interna al legame, d’intimità esclusiva privilegiata (solo tu hai accesso alla mia anima); un’altra esterna al legame, tendente ad escludere, a lasciare fuori tutto ciò che è altro dalla relazione stessa.
Il processo intrapsichico dell’individuazione/separazione descritto dalla Mahler come percorso di crescita e maturazione psicologica, viene meno nella fase acuta di  dipendenza, quando l’altro, oggetto d’amore, è vissuto appunto come oggetto da introiettare e necessario al benessere psicologico, senza il quale sembra impossibile andare avanti.
Prendere coscienza dei meccanismi che sono alla base dello stile di attaccamento individuale è uno primo step necessario per dare ascolto ai propri bisogni, anche a quei bisogni inconsci che non trovano espressione e che sono alla base della dipendenza affettiva.
Riferimenti bibliografici:
Bollea, G. (1980) Compendio di psichiatria dell’età evolutiva Bulzoni Editore
Bolwby, J.(2000) Attaccamento e perdita Bollati Boringheri
Margaret Mahler ( 1978  ) La nascita psicologica del bambino Bollati Boringheri

Angela Tosoni

G.A.D.A. Autoaiuto

sabato 10 dicembre 2011

SENTIRSI SBAGLIATI


sentirsi sbagliati"Quando la relazione primaria non ha permesso di sviluppare fiducia in se stessi, in gergo psicanalitico si dice che non abbiamo interiorizzato un oggetto interno 'buono'. Intendendo per oggetto interno una relazione sufficientemente buona, che una volta interiorizzata funzioni come base sicura interiore. Se nei primi scambi diadici il messaggio ricevuto è stato di sfiducia, di non accoglienza, ci sentiremo tutta la vita come un oggetto 'difettoso', da riparare. Un modo per cercare di riparare questa relazione insoddisfacente interiorizzata è quella di cercarsi un partner con caratteristiche simili a quelle delle prime figure accudenti, e cercare di farci amare da lui/lei. E inevitabilmente invece ci ritroviamo a rivivere la stessa sensazione di non essere amati. Inizia così lo sforzo riparatorio, la richiesta proiettiva sull'altro. Essendo convinti di non meritare amore, di essere sbagliati, cerchiamo una conferma disperata a quanto profondamente crediamo. E quanto pensiamo lo ritroviamo scritto all'esterno, nei giudizi altrui, in cui dolorosamente ci specchiamo".



                                                                    Dott.sa Ameya G. Canovi
                                                                        

                                                                           Psicologa

                                                                                            http://amoredipendente.splinder.com/tag/profezia+autorealizzante 

giovedì 8 dicembre 2011

OSSESSIONE D'AMORE: LA DIPENDENZA AFFETTIVA


“L’amore, rappresenta il bisogno e la capacità di trascendere noi stessi e, insieme ad un altro, creare una realtà nuova. Talvolta, quando si altera l'equilibrio tra il dare e il ricevere, tra il proprio confine e lo spazio condiviso, l'amore può trasformarsi, invece che in un'occasione di crescita e arricchimento,  in una gabbia senza prospettive di fuga, con pareti fatte di dolore. Questo è quello che succede quando si scivola nella dipendenza affettiva. La dipendenza affettiva è una forma patologica di amore caratterizzata da assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva, in cui l'individuo, “donatore d'amore” a senso unco,  vede nel legame con un altra persona, spesso  problematica o sfuggente, l'unico scopo della propria esistenza e il riempimento dei propri vuoti affettivi.
Non sempre  la differenza tra amore e dipendenza affettiva è netta. Può addirittura accadere che i due fenomeni si confondano.

La chiave di distinzione sta nel grado di autonomia dell'individuo e nella sua capacità di trovare un senso in se stesso. Diversamente da quanto comunemente si crede, l'amore nasce dall'incontro di due unità, non di due metà. Solo per si percepisce nella sua completezza è possibile donarsi senza annullarsi, senza perdersi nell'altro. Chi è affetto da dipendenza affettiva, non essendo autonomo,  non riesce a vivere l'amore nella sua profondità e intimità. La paura dell'abbandono, della separazione, della solitudine generano un costante stato di tensione. La presenza dell'altro non è più una libera scelta ma  è vissuta come una questione di vita o di morte: senza l'altro non si ha la percezione di esistere. I propri bisogni e desideri individuali vengono negati e annullati in una relazione simbiotica.

La dipendenza affettiva, diversamente da quanto a volte si manifesta all'evidenza, non è un fenomeno che riguarda una sola persona, ma è una dinamica a due. A volte il partner del “dipendente affettivo” è un soggetto problematico, che  maschera  la propria dipendenza affettiva con una dipendenza da droga, alcol o gioco d'azzardo. In questo caso i problemi del compagno diventano la giustificazione per dedicarsi interamente all'altro bisognoso, non prendendosi il rischio di condurre un'esistenza per sé.
Altre volte la persona amata è rifiutante, sfuggente o irraggiungibile, per esempio sposata o non   interessata alla relazione.  In  entrambi i  casi quello che seduce è la lotta: la dipendenza si alimenta del desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia in modo soddisfacente, e cresce in proporzione al rifiuto, anzi se non ci fosse quest'ultimo, il presunto amore non durerebbe.
La persona che ha una dipendenza affettiva di solito soffoca ogni desiderio e interesse individuale per occuparsi dell'altro ma inevitabilmente viene  delusa e il suo amore prende la forma del  risentimento. Allo stesso tempo non riesce ad interrompere la relazione, in virtù di ciò che definisce “amare troppo”, non rendendosi conto che questo comportamento distrugge l'amore che richiede invece autonomia e reciprocità.


Nella dipendenza affettiva, ciò che viene sperimentato come amore diventa una droga. I sintomi della dipendenza sono gli stessi :
  • ebbrezza : il soggetto  prova una sensazione di piacere quando sta con il partner, che non riesce ad ottenere in altri modi e che gli è indispensabile per stare bene.
  • tolleranza: il soggetto cerca dosi di tempo sempre maggiori da dedicare al partner,  riducendo sempre di più il  proprio tempo autonomo e i contatti con l’esterno
  • astinenza: il soggetto sente di esistere solo quando c'è l'altro, la sua mancanza lo getta in uno stato di allarme. Pensare la propria vita senza l'altro è inimmaginabile. L'altro è visto come l'unica fonte di gratificazione, le attività quotidiane sono trascurate, l'unica cosa importante è il tempo trascorso con l'altro.
  • incapacità di controllare il proprio comportamento: una riduzione di lucidità e capacità critica che crea vergogna e rimorso e che in taluni momenti viene sostituita da una temporanea lucidità, cui segue un senso di prostrante sconfitta e una ricaduta nella dipendenza ,che fa sentire più imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro. Questi processi si colorano di rabbia e senso di colpa."
                     
                                                         Tratto da un articolo della Dott.ssa Barbara Corte
                                                                         Psicologa e psicoterapeuta

http://www.supportopsicologico.org/articoli/dipendenza-affettiva-difficolta-relazionali.htm

martedì 25 ottobre 2011

DIARIO DI BORDO: IL VALORE DELL'ESPERIENZA A CONFRONTO

L’attività del gruppo G.A.D.A. si è sviluppata dallo scorso maggio, con incontri cadenzati ogni quindici giorni e con una crescente partecipazione da parte di nuovi  membri che hanno aderito all’iniziativa. Durante gli incontri si è andata rafforzando nel gruppo un’idea di appartenenza, di riconoscimento delle proprie problematiche attraverso la condivisione e attraverso l’essere parte di un insieme. La circolarità del gruppo, espressa nella comunicazione delle proprie esperienze in relazione alla tematica dipendenza affettiva e nella rappresentazione dei vissuti personali, ha favorito una presa di coscienza individuale che rappresenta il primo gradino nel percorso orientato alla ricerca del benessere e dell’equilibrio affettivo che i partecipanti del gruppo si sono dati come obiettivo sin dalle prime battute degli incontri iniziali.
L’esperienza al confronto permette al soggetto che espone un proprio vissuto di vedere la propria realtà, le proprie emozioni, con gli occhi di un altro e l’altro diventa significativo in quanto portatore della stessa esperienza e di una sofferenza condivisa. Rispecchiarsi nell’esperienza dell’altro conduce ad una comprensione emotiva della propria condizione, permettendo una decodifica più profonda di un vissuto emozionale. Spesso la possibilità del confronto con l’altro facilita una comprensione maggiore di una data situazione, vedere una propria realtà, raccontare una propria esperienza, consente al soggetto di distaccarsi dal proprio punto di vista e di guardare le cose da un’altra angolazione. Tutto ciò permette una migliore comprensione della propria realtà a livello cognitivo e laddove si condividono vissuti a forte carica emozionale il tempo della relazione si dilata, il contenuto esperito dall’altro diventa personale attraverso il come se, “ti comprendo e ti sono vicino” in quanto “ciò che vivi appartiene anche a me, mi risuona”.
La condivisione dell’esperienza attiva un duplice processo:
la destrutturazione e cioè il riconoscimento e la definizione del problema, la condivisione delle informazioni e la discussione di strategie di coping, la destigmatizzazione e cioè il tentativo di eliminare l’etichettamento sociale del problema,
la ristrutturazione e cioè tutte le attività orientate e finalizzate al raggiungimento di una nuova definizione di sé rispetto al problema e la messa in atto di nuovi stili di comportamento che incidono su un stile di vita più soddisfacente.
Il registro della comunicazione nel gruppo di auto aiuto ha la forza molteplice di più voci, che nel condividere l’esperienza e nel rimandare alla persona che elabora un suo vissuto, ha la funzione di contenere e mantenere il focus sulle emozioni. La forte carica affettiva, data dalla compartecipazione negli interventi, permette la comprensione emotiva del vissuto elaborato, facilitando, sia a chi porta la propria esperienza sia agli altri membri, una consapevolezza in primo luogo cognitiva (analisi dei fatti, cosa ho vissuto, cosa mi ha portato questa esperienza) e successivamente, una consapevolezza emotiva (contatto con le emozioni, come ho vissuto l’esperienza, come sono stato e come sto in questo momento).
L’interazione nel gruppo permette di acquisire nuovi strumenti conoscitivi che abilitano a leggere ed interpretare i problemi in modo nuovo. Queste nuove abilità conoscitive, di interpretazione del reale incrementano la creatività e l’autonoma soluzione dei problemi, rendendo il soggetto sempre più efficace nelle strategie di coping legate al tema dipendenza affettiva.
Angela Tosoni
G.A.D.A. Autoaiuto

mercoledì 21 settembre 2011

"LA PSICOLOGIA DELL'AMORE"

" [...] Molti disturbi dello spettro ansioso-depressivo nascono all’interno della storia famigliare e si rendono evidenti soprattutto nella relazione di coppia.
Spesso bisogni di dipendenza non adeguatamente colmati durante l’infanzia, possono estrinsecarsi nel bisogno coatto di protezione e di attaccamento simbiotico nella vita adulta. Tipico esempio di ciò lo ritroviamo nell’ossessione d’amore, in cui l’altro, spesso sfuggente, diventa il nostro salvatore, la droga da cui dipende la nostra felicità, per cui arriviamo ad annullarci. 


Tale situazione indica una difficoltà a volersi bene, a prendersi cura di sé e la delega all’altro della responsabilità del nostro benessere. Ciò può sfociare anche nella gelosia patologica che rivela una profonda insicurezza, il bisogno continuo di controllare e possedere l’altro, il quale diventa una nostra proprietà.


[...] L’amore e la sessualità sono dimensioni profonde dell’essere umano e la loro importanza nell’equilibrio soggettivo è ampiamente provata; molte sofferenze e forme di disagio psicologico nascono proprio dall’incapacità di gestire le relazioni amorose in modo adeguato. Esiste quindi una psicologia dell’intimità ancora poco conosciuta e strettamente legata alle caratteristiche di personalità dei partner, in cui un ruolo fondamentale è giocato dal loro livello di dipendenza-indipendenza. 

Una eccessiva dipendenza può essere fonte di disagio in quanto può creare una confusione di ruoli ed una riduzione dell’autonomia del singolo, può limitare la creatività e generare frustrazione, così come un’eccessiva indipendenza può causare problemi e portare alla rottura; l’interdipendenza invece, ossia la dipendenza reciproca nel rispetto delle sfere di autonomia, è un collante efficace per la coppia, che consente di conciliare i bisogni di sostegno e condivisione con quelli di autonomia ed esplorazione. Le riflessioni proposte invitano a riflettere per diventare più sensibili a quei campanelli d’allarme che possono aiutare ad individuare precocemente segnali di disagio o di sofferenza, per favorire una maggiore consapevolezza rispetto alla propria vita affettiva".



                                                          Tratto da un articolo della dott.sa Barbara Corte
                                                                      Psicologa e psicoterapeuta
(

venerdì 16 settembre 2011

TRATTI TIPICI DI UN DIPENDENTE

" [...] I tratti che caratterizzeranno l’individuo dipendente saranno, quindi: insicurezza nell'esplorazione del mondo, forte senso di colpa, convinzione di non essere amati, incapacità di sopportare distacchi prolungati nel tempo, ansia da abbandono, sfiducia nelle proprie risorse e capacità e fiducia, invece, in quelle altrui.
                
L
'individuo permetterà passivamente che gli altri dirigano la sua vita, evitando di fare richieste per paura di perdere queste relazioni considerate un vero e proprio rifugio. Tutto ciò comporta un’estrema dipendenza che si manifesta con la difficoltà a prendere delle decisioni importanti e soprattutto autonome. Detto individuo avrà necessità di continue ed ulteriori rassicurazioni da parte di persone per lui significative. Ci sarà una predisposizione alla depressione. 

L'individuo con personalità dipendente si sente inadeguato ed incapace di affrontare il mondo e la vita con le proprie forze. “L’energia deve venire dall’altro, da colui che funge da mediatore nel rapporto tra lui e l’ambiente” (G. Delisle, I disturbi di personalità, Sovera, 1992). 

Gli individui dipendenti solitamente cercano una o poche relazioni esclusive, sia con il partner che con gli amici, così da riprodurre quello schema comportamentale instauratosi nella fase post-natale. Soprattutto scelgono persone che sembrano in grado di affrontare la vita e che si possano prendere cura di loro. Si potrebbe dire che investono su queste figure di riferimento, affinché queste ultime si facciano carico delle responsabilità che altrimenti spetterebbero a loro in prima persona. Il soggetto dipendente pur di compiacere l'altro evita il conflitto ed ogni sorta di controversia per il timore dell’abbandono, rinnegando il proprio vero Sè.

Quando la relazione dipendente finisce, il soggetto molto probabilmente potrebbe sentire un sentimento di disgregazione con tendenza alla disperazione, come se una parte di sè fosse inevitabilmente andata persa e unico palliativo e soluzione sarà trovare subito una relazione sostitutiva per ristabilire il legame appunto dipendente, ossigeno indispensabile per la propria sopravvivenza.


La personalità dipendente, poi, è caratterizzata da uno stato di sottomissione e adesività. Sembrerebbe che nelle famiglie di detti soggetti ci sia un elevato controllo e una ridotta espressività di se stessi, del proprio modo di essere, di agire e di sperimentare. Nelle relazioni di coppia il soggetto con personalità dipendente, come abbiamo detto in precedenza, andrà a cercare quel legame simbiotico che aveva con la madre.

All’inizio del rapporto sarà l’ansia l’emozione fortemente sentita, tanta l’incertezza e la paura dell’abbandono che, conseguentemente, non favorirà né il proprio benessere nè quello dell’altro, emergendo modalità relazionali caratterizzate da un aggrapparsi ansioso, o da richieste eccessive. Ma anche dopo il consolidamento del rapporto stesso si avrà paura che l’altro non ricambi effettivamente il sentimento. Solo se quest’ultimo si assoggetterà ad una vicinanza costante, se verrà incorporato, potrà diminuire l’ansia invece percepita.

Come dice Antony Storr, incorporare un’altra persona “significa ingoiarla, sopraffarla e distruggerla; e quindi alla fine trattarla come se non fosse una persona completa. Identificarsi con un’altra persona significa perdere se stessi, immergere la propria identità in quella dell’altro, essere sopraffatti, e quindi trattare se stessi, infine, come una persona non completa” (M. James – D. Jongeward, Nati per vincere, Ed. San Paolo, Torino, 2005). Prevalente è anche l’ossessione dell’altro, la gelosia esasperata, frutto di forte insicurezza verso se stessi e gli altri, e l’ossessività.                                                                              

Questo rapporto simbiotico nell’interruzione del ciclo del contatto gestaltico corrisponde alla confluenza, cioè quando due persone fondono tra di loro sentimenti, atteggiamenti e credenze, senza capire quali sono i rispettivi confini e dove differiscono. Sono una cosa sola, una sola persona. Tutto questo è sano in un rapporto sentimentale durante l’unione amorosa, ma diventa disfunzionale quando poi a questa simbiosi non addiviene un ritiro fertile, dove “masticare ed assimilare” (E. Giusti – V. Rosa, Psicoterapie della Gestalt – Integrazione dell’evoluzione pluralistica, A.S.P.I.C. Edizioni Scientifiche, Roma, 2002) l’esperienza appena vissuta e riconquistare il proprio confine e la propria identità.

Non è sano costruire la nostra vita attorno ai bisogni dell’altro, sacrificare la spinta vitale, l’autonomia e la crescita personale per ricevere in cambio protezione, l’affetto non va scambiato con il bisogno. Quando questo è simbiotico ci limita e ci mantiene in una condizione di immaturità e di insicurezza cronica generando insofferenza".

 
                                                          Articolo tratto da www.artcounseling.it

martedì 6 settembre 2011

L'INSICUREZZA NELL' ETA' ADULTA

"Nell'età adulta il sentimento di insicurezza legato ad un attaccamento patologico, darà luogo a diverse manifestazioni affettive: preoccupazioni su dove si trovi la figura d'attaccamento, mancanza di fiducia in questa persona, rabbia e risentimento nei suoi confronti, incapacità di chiedere o di utilizzare il suo sostegno in caso di bisogno, assenza di sentimenti d'amore o difficoltà a staccarsi da lei.

L'insicurezza è intrinsecamente legata al vuoto, alla mancanza, all'assenza all'ignoto, al silenzio, ma anche alla perdita di controllo, all'assenza di abilità, alla morte.
[...]
Tra il fobico che evita l'ignoto, l'ossessivo che crea delle difese di fronte a ciò che non conosce, o ancora l'additivo che si attacca ad un oggetto per non affondare, come non accorgersi che esiste un legame con la nostra condizione di mortali?"

                                                                                Tratto da
                                                                     La dipendenza amorosa
                                                                   di Francois-Xavier Poudat

mercoledì 13 luglio 2011

AMORE PERFETTO, RELAZIONI IMPERFETTE

"Ciascuno di noi si porta dentro dei timori e delle paure riguardo all’amare e all’essere amati. Queste paure possono esser nate in ambito familiare o in esperienze negative. Le nostre prime delusioni hanno creato in noi dei meccanismi di difesa per cui da quel momento in poi le future esperienze saranno tutte filtrate da queste “maschere” e sempre meno naturali, o in linea con il nostro più profondo sentire. A quel punto “non importa quanto profondamente ci possiamo innamorare di qualcuno, di rado superiamo il nostro timore e la nostra diffidenza molto a lungo.” Infatti quanto più una persona ci illumina, ci fa sentire speciali e bene, più le nostre paure si fanno grandi e intense. Con queste problematiche irrisolte non saremo mai in grado di godere appieno dell’amore di una persona e di conseguenza non potremo amare come vorremmo e potremmo. Come procedere?

Innanzitutto due parole su cosa aspettarci dall’amore. Due persone che si amano hanno ciascuno i propri bisogni, i propri sogni e le proprie aspettative. Quindi i momenti gioiosi di pura sintonia non ci potranno essere costantemente, perché ognuno segue inevitabilmente le proprie leggi interiori e non possiamo aspettarci che l’altro sia costantemente in sintonia con noi. “E’ inevitabile perdere sincronia con la persona amata poiché entrambi, in momenti diversi, vogliamo invariabilmente cose diverse – dal partner e dalla vita.” Richiedere che il partner ci capisca sempre è “una richiesta assurda poiché parte dal presupposto che gli altri dovrebbero costantemente adattare il loro modo d’amare in maniera da farlo coincidere con il nostro”.

Magari a volte potremmo volere, per paura dell’abbandono, delle certezze e un impegno verbale in più e questo genererebbe in noi una maggiore tranquillità. Ma magari così facendo potremmo mettere sotto pressione il partner che invece si sentirebbe più amato quando gli si viene lasciato più spazio. Pertanto se ci aspettiamo che ci ami esattamente come vogliamo, questo può indurlo a ritrarsi amplificando le nostre paure.

Spesso, nonostante tutta la buona volontà, due partner non fanno che amplificare costantemente le proprie paure. E’ nella natura delle cose che in un rapporto a due dopo un avvicinamento ci sia un allontanamento, non è in sé indice di problemi nascosti. Inoltre pensare che l’unica fonte d’amore possa essere il nostro partner può portare gravi problemi. Magari “quando il rapporto non riesce a produrre l’amore ideale che sognamo, immaginiamo che qualche cosa sia andato veramente storto”, niente di più sbagliato. Il vero amore puro può esserci quando ciascuno dei due partner ha “fatto pace” con sé stesso e instaura una relazione in cui i due sanno apprezzarsi e gradire la reciproca compagnia fra le loro differenze e i cambiamenti che stanno attraversando".


                                                                                                                                        John Welwood

martedì 5 luglio 2011

IL LIMERENT O ULTRATTACCAMENTO

"Il concetto di Limerence (in italiano ultrattaccamento) è stato elaborato dalla psicologa Dorothy Tennov in seguito ad uno studio scientifico sull'amore romantico. Questa psicologa ha intervistato oltre 500 soggetti sul concetto di amore. In seguito a tale ricerca Tennov ha coniato nel 1977 il termine “limerence„ pubblicandolo in Love and Limerence: The Experience of Being in Love.
Con tale termine la Tennov descrive lo stadio finale, quasi ossessivo dell'amore romantico. La Limerence è uno stato cognitivo ed emozionale caratterizzato da intenso desiderio per un'altra persona. Il termine limerence si riferisce spesso a voler intendere lo stato di una persona che esprime, preoccupazione per la persona amata, e, come mostrano recenti ricerche sulla neurochimica, uno stato mentale simile a un disturbo ossessivo-compulsivo. La Limerence sarebbe, infatti, lo stato ossessivo, l'idealizzazione irrazionale e l'intenso desiderio di essere ricambiati. Gli individui colpiti da Limerence sono costantemente attratti da partner sbagliati, soffrono amori non corrisposti e sono incapaci di imparare dalle loro esperienze.

Ne deriva un senso di angoscia emotiva e un grave senso d'inutilità che accompagna la persona nel corso della vita. A tal riguardo tale stato può durare mesi, anni o anche tutta una vita, anche in un'assenza totale di reciprocità della persona amata. Inoltre in amore affetto e tenerezza esistono solo come disposizioni verso un'altra persona, a prescindere dal fatto che questi sentimenti siano ricambiati, laddove invece la limerence richiede che lo siano. Il contatto fisico con l'oggetto amato non è né essenziale né sufficiente a chi stia facendo esperienza di limerence, a differenza di chi prova un'attrazione sessuale.
Nello stato iniziale dell'innamoramento definito in inglese New Relationship Energy (NRE) si avvantaggia di una comunicazione aperta e di una consapevole mutualità di sentimenti ed è generalmente vista come una positiva esperienza di legame, mentre la limerence può disperdersi una volta che si sia stabilita una reciprocità, ed è caratterizzata da incertezza e ansietà.
Le principali caratteristiche del limerence sono:
•  Pensiero ossessivo e intrusivo sulla persona amata (detto limerent).
•  Timore del rifiuto
•  Speranza nel conquistare prima o poi l'altro
•  Manifestazioni fisiologiche del limerent (stati ansiosi, tachicardia e altro)
•  Intensificazione dell'attaccamento nelle avversità.
•  Attenzione selettiva a qualsiasi azione, pensiero, o circostanza che può essere interpretata favorevolmente come sentimento ricambiato da parte della persona amata.
•  Capacità d' inventare o trovare spiegazioni logiche favorevoli ad azioni, pensieri e circostanze del tutto neutre in tal senso, della persona amata.

Pensiero ossessivo e intrusivo
Durante il limerence, i pensieri dell'oggetto limerent sono sia persistenti, che involontari che intrusivi. Limerence è in primo luogo un'ossessione che porta anche a vere e proprie fantasie sulla vita con la persona amata una volta conquistata . Inoltre tali fantasie si spingono anche a pensieri estremi quali il salvare la persona amata da una situazione di pericolo di vita o la persona amata che dichiara il proprio amore solo in punto di morte. Tutto questo prende vita particolarmente nei sogni, anche quelli a occhi aperti, che rappresentano una vera e propria fuga dalla realtà.

Timore del rifiuto e Speranza
Nel limerence si vive costantemente colla paura di un atto concreto di rifiuto che non lascia nessuna speranza. Speranza che è sempre presente in questa forma d'attaccamento che è alimentata dall'incertezza. Quest'ultima da una parte aumenta il dolore ma d'altra parte aumenta desiderio e speranza. Come accennato in precedenza, la speranza nel limerence porta a vedere solo i pensieri e le azioni dell'amato che confermano il desiderio di essere ricambiati, tralasciando tutto ciò che non va in tale direzione. Secondo gli studi, il limerence dura circa tre anni in media, ma può anche durare molto di più fino ad arrivare a coprire un'intera vita nei casi più patologici.
Tipologie di relazioni limerent
Abbiamo due tipologie di relazioni limerent:
Legame di Limerent-Nonlimerent: definisce le relazioni in cui uno dei due è limerent. Secondo la Tennov la maggioranza delle relazioni s'inquadra in questa tipologia e durano abbastanza a lungo.
Legame di Limerent-Limerent: definisce le relazioni in cui entrambi sono limerent. Per la Tennov questo tipo di relazione è breve.
La Tennov è del parere che le relazioni Limerent-Nonlimerent sono più forti e sicure se la donna è limerent e l'uomo è nonlimerent, perché l'uomo che è più limerent renderebbe la donna più incline ad abbandonarlo".

Psicologo, Psicoterapeuta

mercoledì 29 giugno 2011

DIPENDENTE AFFETTIVO, SI', MA DI QUALE TIPO?

Dipendente Affettivo Ossessivo
Gli OLA (Obsessed Love Addicts) non riescono a lasciar andare il partner, neanche se questi è: non disponibile, a livello emotivo o sessuale, impaurito di impegnarsi, incapace di comunicare, non amorevole, distante, abusivo, indagatore e dittatoriale, egocentrico, egoista, dipendente da qualcosa al di fuori della relazione (hobbies, droghe, alcohol, sesso, un'altra persona, il gioco d'azzardo, lo shopping compulsivo, etc)…

Dipendente Affettivo Codipendente
CLA (Codependent Love Addicts) sono i più ampiamente riconosciuti. Rappresentano un profilo particolarmente comune. Molti di loro soffrono di scarsa autostima ed hanno un modo di pensare, sentire e comportarsi, in certo modo, prevedibile.
Ciò significa che da una condizione di insicurezza e bassa autostima cercano disperatamente di rimanere attaccati alla persona da cui sono dipendenti, manifestando un comportamento codipendente. Questo include: essere permissivi, aiutare, prendersi cura del partner, esercitare un controllo passivo – aggressivo ed accettazione di abbandono ed abusi. In generale, i CLA faranno di tutto per “prendersi cura” dei loro partner nella speranza di non essere lasciati o di essere un giorno ricambiati.

Dipendenti dalla Relazione
Gli RA (Relationship Addicts), a differenza degli altri dipendenti affettivi, non sono più innamorati dei loro partners ma sono incapaci di lasciarli andare, di rinunciare. Solitamente sono così infelici che la loro relazione mina la loro salute, il loro spirito e benessere emotivo.
Anche nel caso in cui i loro partners li picchino o sappiano di essere in pericolo, essi sono incapaci di rinunciare al rapporto. Hanno il terrore di rimanere soli. Hanno paura del cambiamento. Non vogliono ferire o abbandonare i loro partners. Tutto ciò può essere descritto come: “Ti odio, non lasciarmi”.

Dipendenti Affettivi Narcisisti
Gli NLA (Narcissistic Love Addicts) utilizzano il dominare l'altro, la seduzione ed il trattenere l'altro per controllare i propri partners. A differenza dei codipendenti, che sono disposti a tollerare un notevole disagio, i narcisisti non accondiscendono a nulla che possa interferire con la loro felicità.
Sono assorbiti da se stessi e la loro bassa autostima è mascherata dalla loro grandiosità. Inoltre, piuttosto che essere ossessionati dalla relazione, gli NLA appaiono distaccati ed indifferenti. Non sembrano affatto essere dipendenti. Raramente ci si può accorgere che gli NLA siano dipendenti finché il partner non cerca di lasciarli. Allora non saranno più distaccati ed indifferenti. Entreranno in uno stato di panico ed useranno qualsiasi mezzo a loro disposizione per protrarre la relazione, incluso l'uso di violenza.
Molti psicologi hanno rifiutato l'idea che i narcisisti possano essere dipendenti affettivi. Può darsi ciò sia avvenuto perché raramente i narcisisti ricercano un trattamento terapeutico. Tuttavia, se mai capiti di poter vedere come molti narcisisti reagiscono all'abbandono, temuto o reale, ci si accorgerà che certamente essi presentano le caratteristiche del dipendente affettivo.

Dipendenti Affettivi Ambivalenti
Gli ALA (Ambivalent Love Addicts) soffrono di un disturbo di personalità evitante. Non hanno particolari problemi a lasciar andare il partner, hanno invece molti problemi ad andare avanti. Bramano disperatamente l'amore ma allo stesso tempo sono terrorizzati dall'intimità. Questa combinazione di tendenze è agonizzante.
Gli ALA sono a loro volta divisibili in categorie:

Torch Bearers (portatori di una fiamma) sono ALA che sono ossessionati da persone non disponibili. Ciò può avvenire senza che questi compiano alcuna azione (soffrire in silenzio) oppure con la ricerca di contatto con la persona amata.
Alcuni Torch Bearers sono più dipendenti di altri. Questo tipo di dipendenza si nutre di fantasie ed illusioni. E' anche conosciuta come “amore non corrisposto”.

Sabotatori sono ALA che distruggono le relazioni quando queste cominciano a diventare serie o in qualsiasi momento venga percepita la paura dell'intimità. Ciò può accadere in qualunque momento, prima del primo appuntamento, dopo il primo appuntamento, dopo il rapporto sessuale, dopo che si sia manifestato il timore dell'impegno.

Seduttori Rifiutanti (Seductive Withholders) sono degli ALA che ricercano una persona quando desiderano un rapporto sessuale o compagnia. Quando si sentono impauriti o in pericolo cominciano a rifiutare compagnia, sesso, affetto, qualsiasi cosa li renda ansiosi. Se lasciano la relazione sono soltanto Sabotatori. Se invece continuano a ripetere il modello disponibile/non disponibile sono Seduttori Rifiutanti.

Dipendenti Romantici sono ALA che dipendono da più partners. A differenza dei dipendenti dal sesso, i quali cercano di evitare del tutto il legame, i Dipendenti romantici si legano ad ognuno dei loro partners, in grado diverso, anche se i legami romantici sono brevi ed avvengono simultaneamente.
Con “romantica” intendo una passione sessuale ed una pseudo intimità emozionale. Da notare che, sebbene i Dipendenti romantici si leghino a ciascuno dei propri partners, in vario grado, il loro scopo, insieme alla ricerca dell'intensità del romance e del dramma, è di evitare l'impegno ed il legame su di un piano più profondo con il partner. Spesso i Dipendenti romantici vengono confusi con i Dipendenti dal sesso.

Nota sui Dipendenti Affettivi Ambivalenti:
Non tutti gli evitanti sono dipendenti affettivi. Se si accetta la propria paura dell'intimità e delle interazioni sociali e non ci si lascia attrarre da persone non disponibili o semplicemente si crea un piccolo cerchio sociale, non si è necessariamente dei Dipendenti Affettivi Ambivalenti.
Ma se ci si strugge, anno dopo anno, su di una persona non disponibile o si tende a sabotare una relazione dopo l'altra o si hanno relazioni romantiche occasionali seriali o si avverte la vicinanza solo con un altro evitante, allora si può parlare di Dipendenti Affettivi Ambivalenti.

Combinazioni
Si può scoprire di soffrire di più di un tipo di dipendenza affettiva. Molte di queste categorie si sovrappongono o combinano con altri problemi comportamentali. Per esempio si può avere il caso del codipendente, alcolista, dipendente affettivo. Oppure di un Dipendente Affettivo/Relazionale.
La cosa più importante è identificare il proprio profilo personale per sapere con che cosa ci si stia confrontando.

                                                             
                                         
            SusanPeabody (http://brightertomorrow.net/index.html)

domenica 26 giugno 2011

LO PSICOTERPEUTA MAURO SCARDOVELLI SULLA DIFFERENZA TRA AMORE SANO E DIPENDENZA

LA DIPENDENZA AFFETTIVA SPIEGATA DA UNO PSICOANALISTA JUNGHIANO


"Alcune domande fondamentali che ho imparato a rivolgere a coloro che si rivolgono a me per curare una supposta ferita d’amore, sono quelle relative alla descrizione del proprio compagno e delle esperienze vissute insieme. Quasi sempre c’è incompatibilità d’anima, mancanza di rispetto, progettualità diverse se non addirittura opposte, bisogni e desideri che non possono essere condivisi. E scarsi, se non assenti, sono stati i momenti di comunione profonda e di soddisfazione reciproca.

Perché allora continuare?
Perché tormentarsi nella speranza che le cose possano cambiare quando il supposto cambiamento è stato solo desiderato, sognato, immaginato ma mai sperimentato come possibile?
Perché non poter chiudere e allontanarsi, magari tra mille turbamenti, ma con la consapevolezza di una fine che era inevitabile per il rispetto di entrambi?
Perché restare sul posto, immobili… spesso indifferenti agli insulti e agli oltraggi… amplificando il proprio dolore a dismisura in una sorta di delirio sacrificale il cui orrore è pari solo alla sua inutilità?
E – soprattutto – perché questo stato di cose sembra non avere mai fine? Non essere limitato entro un ragionevole lasso di tempo entro il quale valutare le effettive opportunità di cambiamento…

Una osservazione superficiale potrebbe far ritenere il fenomeno dovuto alla minore capacità degli uomini e delle donne moderni di sopportare qualunque tipo di frustrazione, e di stabilire perciò dei legami di dipendenza non essendo semplicemente in grado di accettare il rifiuto di sé.
Ma non è così. Anzi… si potrebbe affermare addirittura il contrario: e cioè che la dipendenza si stabilisce appunto perché c’è il rifiuto. Se non ci fosse, quasi sempre il supposto amore finirebbe in un lasso di tempo incredibilmente breve.
Per quanto paradossale possa sembrare, la dipendenza si alimenta del rifiuto, della negazione di sé, del dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità.
Quello che seduce è la lotta.

Quello che incatena – per usare le parole della psichiatra milanese Marta Selvini Palazzoli - è l’Ibris, cioè a dire la ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi nella vita a farsi amare da chi proprio non vuole saperne. O, secondo una serie di specifiche variabili, di riuscire a curare chi non può o non vuole essere curato, di salvare chi non può o non vuole essere salvato.
Ma ancora una volta, contrariamente a quello che può ritenere il buon senso comune, questa compulsione ad oltranza che spinge gli affettivo-dipendenti a permanere nella proprie inutili battaglie, non è determinata da una sorta di masochismo psichico. Non è il piacere per le proprie sofferenze che motiva tutte queste persone, bensì proprio l’opposto: la speranza inconsapevole di saturare una vecchia ferita. Di guarire da un male antico.

Perché il rifiuto, l’abbandono, la svalutazione di sé, l’umiliazione, hanno già fatto parte della loro vita emotiva; in un modo o nell’altro sono state queste le esperienze cruciali che hanno caratterizzato il delicato periodo formativo della loro personalità. Che ne è stata segnata!
In un’epoca in cui l’autonomia emotiva e la piena coscienza non potevano ancora essersi formate ci sono state laceranti esperienze di rifiuto e di abbandono da parte di uno o di entrambi i genitori, come conseguenza delle quali i bambini sono cresciuti in una sorta di anestesia che nasconde però sia l’ambivalenza dolore-rabbia per il mancato riconoscimento d’amore, sia l’atroce dubbio di non valere poi tanto e di dover fare di tutto per essere migliori.
La crescita copre la ferita… ma la lascia insanata.
Quando poi, nella vita adulta, si presenta una situazione simbolicamente simile a quella precedentemente vissuta è come se fosse colta al volo l’occasione di ritualizzarla per tentare di sanare il passato attraverso il presente. L’intento dell’inconscio non è sciocco né tanto meno auto-distruttivo. Piuttosto è ingenuo nel suo presumere di poter dimostrare una volta per tutte la propria disponibilità affettiva e il proprio valore, di conquistare (curare o sanare) l’essere tanto amato ma mai conquistato, e di venir così risarcito di tutto l’amore mancato.

Quasi mai l’Altro è visto per quello che è (spesso un egoista chiuso su se stesso, o un nevrotico senza speranza o un approfittatore senza scrupoli); piuttosto è immaginato come sarebbe qualora si lasciasse finalmente amare e con amore ricambiasse tanta dedizione. È di questa immagine, evocata come per incantamento nello specchio magico dell’inconscio, che il dipendente si innamora; senza accorgersi minimamente che dietro tale mascheramento occhieggia il volto del genitore che l’ha tradito.

L’ulteriore e ultimo paradosso consiste nel fatto che il rituale simbolico è percepito tanto più significativo – e dunque tanto più coercitivo - quanto più l’Altro si presenta affettivamente poco disponibile e non del tutto conquistabile, così come mai raggiunto e mai conquistato è stato l’adulto abbandonico. Non a caso la maggioranza degli affettivo-dipendenti confessa spontaneamente di non aver provato quasi mai attrazione verso Altri che, pur avendo tutti i requisiti per essere desiderabili, hanno commesso l’errore di testimoniare un gratuito affetto nei loro confronti. Come se la gratuità, appunto, avesse il potere di soffocare il loro desiderio, che solo nella morbosità della difficoltà e del rifiuto viene invece percepito e riconosciuto. In sostanza, più che di una immaturità cognitiva ed emozionale del dipendente, si tratta di una distorsione patologica della sua vita affettiva, ricalcata sull’impronta distorta impressa dal modello di relazionale primario.

Fermo restando che in qualunque relazione possono esserci brevi dolorosi momenti di mancata comprensione e incompatibilità, l’essenza dell’amore dovrebbe consistere nel piacere e nella gioia di condividere con un altro essere umano il mistero della propria vita. La dipendenza affettiva, al contrario, è caratterizzata da una tensione di incomprensioni e di ostilità, magari inconsce ma costanti, e dal ristagno dell’anima in condizioni quanto più dolorose e difficoltose… pena la fine dell’incantamento e la ricerca di una nuova relazione ancora più penosa e priva di speranza, in una coazione a ripetere pressoché infinita".



                                                                                                         Dott. Piero Priorini

martedì 21 giugno 2011

EZIOLOGIA DELLA DIPENDENZA AFETTIVA

"Secondo, D. Miller ( 1994) la Dipendenza Affettiva  colpisce nella stragrande maggioranza dei casi, superiore al 90%, donne di diverse fasce di età dalle più giovani alle donne mature. Queste donne vivono, come già descritto in precedenza, le relazioni amorose alla ricerca di uno stato di fusione con il partner per il quale sono disposte a sacrificare tutti i loro interessi personali, desideri, aspettative, crescita personale e professionale, fino al punto di annullare se stesse a vantaggio dell’altro.

 Le aspirazioni personali vengono “rinnegate” a favore di quelle del partner il cui “amore”, interesse, affetto e sicurezza affettiva vengono considerati di vitale importanza per la propria esistenza. Queste donne passano la loro vita a mendicare l’“affetto”del’altro che idealizzano come proiezione del proprio Sé a cui cercano di dare valore, per sopprimere i sentimenti di inadeguatezza, vuoto, ansia, impotenza,scarsa autostima, non amabilità che si trovano a fronteggiare.

La Dipendenza d’Amore trova le radici nell’infanzia di queste donne i cui bisogni d’amore, affetto ed accudimento sono stati frustrati; nella relazione con le figure significative il bambino impara, attraverso le cure e la sensibilità dell’altro, che egli “è una persona degna d’amore”, è questo sentimento, che in genere lo accompagna per tutta la vita, che nutre l’amor proprio e la fiducia verso se stessi e gli altri.   Le donne che sviluppano la Dipendenza Affettiva non hanno introiettato questo sentimento ma, al contrario, si sono convinte “che i loro bisogni non contano” o che “ non sono degne di essere amate”.

Come sottolinea J.L. Herman (1992), molte di queste donne hanno una storia infantile di maltrattamenti fisici e psicologici, spesso sono state vittime di abusi sessuali o molestie, o comunque i loro bisogni sono stati negati o frustrati. Da adulte, queste donne tendono a negare i propri bisogni, presentano una bassa autostima e la loro identità appare labile (necessitando dell’altro per essere consolidata). In riferimento ai possibili traumi subiti (abusi sessuali o violenze fisiche e/o psicologiche) alcuni autori, come D. Miller, hanno ipotizzato un paragone tra Dipendenza Affettiva e Disturbo Post Traumatico da Stress, che presenta un quadro sintomatologico caratterizzato da: dissociazione, panico, disturbi del sonno, irritabilità, perdita di concentrazione, flash back, istinto a fuggire ecc.

E’ molto probabile che nell’eziologia della Dipendenza Affettiva partecipano diverse concause: come lo stile di attaccamento e i modelli operativi interni che si sviluppano nell’infanzia e regolano lo stile e le caratteristiche con un cui una persona si relaziona agli altri (Sicuro, Evitante, ambivalente, Disorganizzato), l’influenza culturale che nel recente passato ha relegato le donne a ruoli subordinati e passivi, infine la nuova sociologia della famiglia che, rispetto alle famiglie tradizionali stabili e coese, presenta legami sempre più ambigui ed instabili".
                 
                                                                             Dott. Gaspare Costa 

lunedì 20 giugno 2011

I PASSI PER USCIRE DALLA DIPENDENZA AFFETTIVA


L'AMORE DI SE' ALLA BASE DEL VERO AMORE

"L'affermazione della propria vita, felicità, crescita, libertà è determinata dalla propria capacità di amare, cioè nelle cure, nel rispetto, nella responsabilità e nella comprensione. Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente.

Se l'amore per se stessi non è disgiunto dall'amore per gli altri, come ci spieghiamo l'egoismo, che ovviamente esclude qualsiasi interesse genuino per gli altri? L'egoista s'interessa solo di se stesso, vuole tutto per sé, non prova gioia nel dare, ma solo nel ricevere. Vede il mondo esterno solo dal punto di vista di ciò che può ricavarne; non ha interesse per le necessità degli altri, né rispetto per la loro dignità e integrità. Non può vedere altro che se stesso; giudica tutto e tutti dall'utilità che gliene deriva; è fondamentalmente incapace d'amare. Questo non prova che l'interesse per gli altri e l'interesse per se stessi sono alternative inevitabili? Sarebbe così se l'egoismo e l'amore per se stessi fossero la stessa cosa. Ma questa convinzione è l'errore che ha suscitato tante conclusioni errate riguardo il nostro problema. Egoismo e amore per se stessi, anziché essere uguali, sono opposti. 

L'egoista non ama troppo se stesso, ma troppo poco; in realtà odia se stesso. Questa mancanza di amore per sé, che è solo un'espressione di mancanza di produttività, lo lascia vuoto e frustrato. È solo un essere infelice e ansioso di trarre dalla vita le soddisfazioni che impedisce a se stesso di raggiungere. Sembra interessarsi troppo di sé, ma in realtà non fa che un inutile tentativo di compensare la mancanza di amore per sé. Freud sostiene che l'egoista è un narcisista, che ha concentrato su se stesso ogni capacità d'amore. P vero che gli egoisti sono incapaci di amare gli altri, ma sono anche incapaci di amare se stessi.

È più facile capire l'egoismo se lo si paragona ad un morboso interesse per gli altri, come lo troviamo, ad esempio, in una madre troppo premurosa. Mentre lei crede di essere particolarmente attaccata al suo bambino, in realtà ha una profonda, repressa ostilità per l'oggetto del proprio interesse. È eccessivamente premurosa, non perché ami troppo il proprio figlio, ma perché deve compensare la sua incapacità di amarlo.

Questa teoria sulla natura dell'egoismo è nata dall'esperienza psicoanalitica dell'"altruismo" nevrotico, un sintomo di nevrosi osservato in molti soggetti turbati non solo da questo sintomo, ma da altri ad esso connessi, quali la depressione, la stanchezza, l'incapacità di lavorare, il fallimento nei rapporti col prossimo, e via dicendo. Non solo l'altruismo non è considerato un "sintomo"; è spesso l'unico tratto positivo del carattere del quale i soggetti si vantano. La persona " altruista " non vuole niente per sé; vive solo per gli altri, si vanta di non considerarsi importante. È sorpresa di scoprire che, ad onta del proprio altruismo, è assai infelice e che i suoi rapporti con coloro che la circondano non l'appagano. 

Uno studio analitico dimostra che questo altruismo non è qualcosa di separato dagli altri sintomi, ma uno di essi, e spesso il più importante; che il soggetto è inibito nelle proprie capacità di amare e di godere; che è pieno di ostilità verso la vita e che dietro la facciata dell'altruismo si nasconde un sottile ma intenso egocentrismo. Questo individuo può essere curato solo se anche il suo altruismo è interpretato come un sintomo tra gli altri, in modo che la sua aridità, che sta alla base sia dell'altruismo che degli altri sintomi, possa essere corretta."

                                                                                       L'arte di amare

                                                                                             Erich Fromm

venerdì 17 giugno 2011

GLI UOMINI CHE CI RICORDANO IL NOSTRO PRIMO AMORE

"Siamo sempre attratte da coloro che ci ricordano il nostro primo amore. Se il primo amore di una donna è stato un padre assente ed emotivamente non disponibile, questa donna sarà attratta esclusivamente da uomini non disponibili, nonostante il dolore che questo le procurerà successivamente ed inevitabilmente.
La ricerca del lieto fine:
Molte donne, non solo sono attratte da uomini non disponibili, ma li ricercano come partners per ricreare il passato e modificarne il finale. Queste donne spesso cadono nell'ossessione di cercare di ottenere, attraverso il loro partner attuale, l'amore che non hanno mai ricevuto da bambine. Lo fanno inconsciamente, ripetutamente. Si tratta di una forma di follia. E' il loro “bambino interiore” che le costringe ad agire secondo la propria volontà nonostante le dolorose conseguenze che ne derivano.
Errore di calcolo:
Molte donne non scelgono uomini non disponibili. Si innamorano prima di accorgersi che l'uomo non è disponibile. Poi, ostinatamente e, dal momento che ne sono divenute dipendenti, si rifiutano di arrendersi e rinunciare al rapporto.
Amore non corrisposto:
Alcune donne riescono ad innamorarsi soltanto dell'uomo dei loro sogni. Dal momento che non esiste in realtà alcun uomo di questo tipo, queste donne proiettano le loro fantasie su qualcuno e poi vedono in quella persona soltanto ciò che vogliono vedere. Questi uomini completamente non disponibili sono un ottimo obiettivo per questo genere di proiezione poiché la donna non arriva mai a conoscerli per ciò che sono in realtà. Questi uomini rimangono sempre ciò che la donna vorrebbe che fossero. Le donne che sono portate ed in certo senso dipendenti dal fantasticare rientrano facilmente nel fenomeno del'amore non corrisposto.
Eccitazione:
Inseguire qualcuno che non è disponibile può essere eccitante. Ciò può realmente stimolare l'adrenalina, per non parlare della libido. Le donne dipendenti dall'idillio spesso ricercano persone non disponibili perché sono dipendenti dall'inseguimento in se'.
Paura inconscia dell'intimità:
Le donne, che a livello conscio cadono nell'ossessione amorosa, hanno spesso di base paura dell'intimità. Scegliere di innamorarsi di qualcuno che non è disponibile (in grado maggiore o minore) è un modo per evitare di affrontare questa paura".


                                                                                                                                                                              Susan Peabody