venerdì 7 settembre 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA E BISOGNI PRIMARI

Cos’è il bisogno? In psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale degli elementi che costituiscono il benessere della persona. E’ una tensione imperativa dovuta a qualcosa che manca, ad uno squilibrio dell’organismo che determina una privazione e come tali i bisogni possono essere considerati delle spinte motivazionali ad agire, come se una forza ci spinge alla ricerca di una risposta soddisfacente. Il bisogno viene definito primario quando è impellente e deriva da sollecitazioni organiche che sono radicali, estreme e necessarie a ristabilire un equilibrio fisiologico; ad esempio la fame, la sete, il sonno: tutti noi abbiamo esperienza della spinta motivazionale che ci porta ad attuare un comportamento, alla ricerca del benessere psicofisico. Negli anni 50 Abraham Maslow, ha definito una gerarchia dei bisogni. Alla base di questa piramide Maslow ha collocato i bisogni fondamentali dell’individuo, legati cioè alla sopravvivenza, definendoli bisogni primari: ed allora vediamo che al primo posto ritroviamo i bisogni fisiologi. Immediatamente dopo, sempre tra i bisogni primari, troviamo i bisogni di sicurezza, di affiliazione, di accudimento, di attaccamento, di protezione. Questi bisogni sono considerati degli step, dei gradini, e cioè non si può soddisfare un bisogno superiore nella scala gerarchica se non si è soddisfatto un bisogno immediatamente precedente. Infatti la piramide definisce i bisogni partendo da quelli primari che si esplicitano sin dai primi giorni della vita del bambino per arrivare via via a bisogni più articolati e complessi che caratterizzano la vita dell’adulto.

Ora, perché parliamo di bisogni in relazione alla dipendenza affettiva?Perché le nostre relazioni, le relazioni umane, non solo la relazione col partner, anche le relazioni con i nostri familiari, i nostri amici, persino quelle con i nostri colleghi, tutte le relazioni che sono per noi significative soddisfano dei bisogni fondamentali: quando costruiamo una relazione di tipo significativo, lo facciamo per soddisfare il nostro bisogno di sicurezza, di affiliazione, di attaccamento, di protezione, di appartenenza.


Quante volte, nei momenti difficili che ci ritroviamo a vivere, ci è di conforto la parola di un amico che ci comprende e ci supporta? O ancora, quanto ci fa sentire meglio la condivisione di un’esperienza, bella o brutta che sia, se accanto a noi c’è qualcuno che ci piace, che ci sta vicino, che ci ama, che ci capisce? E quanto ci gratifica l’approvazione, l’incoraggiamento o anche la sola idea di piacere a qualcuno che per noi conta! Per dirla in breve, l’uomo è un animale sociale e tutto nella sua esistenza si compie attraverso la relazione con l’altro. Non si può non stare in relazione.
Quindi quando parliamo di relazioni affettive parliamo di soddisfazione di bisogni fondamentali per l’individuo. Ogni volta che instauriamo una relazione affettiva ci dovremmo chiedere: quale mio bisogno soddisfa questa relazione? Ovviamente, ciò che a noi interessa, per affrontare il tema della dipendenza affettiva, non è una relazione qualsiasi, il nostro focus, il nostro oggetto di attenzione è la relazione per eccellenza e cioè la relazione amorosa. Possiamo considerare la relazione amorosa come fonte di nutrimento per il nostro bisogno di sicurezza e di appartenenza, essere con l’altro, con la persona che amiamo, ci fa sentire realizzati; sentirci legati in una relazione privilegiata con qualcuno che ci piace è qualcosa di altamente gratificante e soddisfacente. La relazione amorosa quindi, soddisfa il nostro bisogno di appartenenza in quanto nell’altro ci riconosciamo, ci ritroviamo, e allo stesso tempo la relazione amorosa soddisfa il nostro bisogno di trascendenza, il bisogno di esistere per l’altro e non solo per se stessi. Nell’altro ci si ritrova e si raggiunge una completezza attraverso un equilibrio di dare e avere.
Parliamo di dipendenza affettiva quando quell’equilibrio di dare e avere che caratterizza le relazioni di coppia si altera. Secondo alcuni autori la dipendenza affettiva è una difficoltà relazionale che interessa al 90% le donne, ma sembrerebbe in crescente aumento anche tra gli uomini. Chi soffre di dipendenza affettiva, sia esso uomo o donna, tende a ricercare nella relazione amorosa uno stato fusionale con il partner, il dipendente affettivo ha un’eccessiva necessità di simbiosi nei confronti della persona amata, non solo, il partner, la persona amata diventa così prioritario su tutto che si è pronti a sacrificare ogni cosa: interessi personali, desideri, aspettative, ambizioni professionali, crescita personale. Il dipendente affettivo vive nei confronti della persona amata in una condizione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accudito, riconosciuto, amato, considerato, come se l’altro fosse vitale, necessario al proprio essere. E siccome l’altro è vissuto come necessità imprescindibile, tutto il resto passa in secondo piano. Vengono meno tutte quelle funzioni dell’io che determinano la percezione di se stessi come esseri autosufficienti, quali la propria autonomia, la propria autostima, il rispetto di se stessi.
In sostanza, il dipendente affettivo rinuncia a sé, ai propri bisogni in favore dei bisogni dell’altro, ed ecco perché nell’occuparci di dipendenza affettiva è opportuno farlo partendo proprio dai bisogni. Il dipendente affettivo è disposto a rinuncia ai propri bisogni e alle proprie necessità pur di mantenere in essere la relazione, anche quando la relazione non è più gratificante, anche quando la relazione ha un costo molto alto.
A questo punto, la domanda che ci dobbiamo rivolgere è: perché si arriva a rinunciare a se stessi pur di non perdere l’altro? Spesso, dietro una relazione disfunzionale di tipo dipendente soggiacciono delle nostre paure nascoste, che sono direttamente collegate a quei bisogni di sicurezza e protezione di cui abbiamo parlato. La paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine. Queste paure sono paure di natura antica, sono le paure esistenziali che hanno da sempre caratterizzato l’essere al mondo dell’uomo. Queste paure sono la “cifra” del nostro essere “umani”, ci danno la dimensione e i limiti della nostra umanità. Ci ricollegano con la nostra venuta al mondo, con l’essere riconosciuti e accettati come individui, con l’essere amati e accettati per ciò che siamo.
Le paure antiche si ricollegano alla prima infanzia, al rapporto simbiotico che nei primi mesi di vita il bambino sviluppa con la madre, infatti i primi mesi di vita sono fondamentali per lo sviluppo psicologico dell’individuo: è in questo periodo che si sviluppa uno stile di attaccamento che sarà alla base (cosidetto “effetto base sicura”) della futura capacità di essere in relazione. E’ da questa base che si parte per avviarsi nella vita di relazione con il mondo, in un viaggio che si snoda dall’io indifferenziato del neonato, all’io identificato dell’adulto capace di entrare in relazione con l’altro, attraverso un processo di identificazione che si realizza salendo via via nella scala dei bisogni individuali delineati da Maslow.
Nella sofferenza sperimentata dal dipendente affettivo, nella rinuncia di sé che si vive come dipendenti, si ritorna ad uno stato simbiotico, ad un bisogno, come abbiamo detto precedentemente di tipo fusionale, uno stato dove viene meno l’autonomia individuale, costruita attraverso la crescita e lo sviluppo personale. E’ per questo che il focus dell’attenzione è sui bisogni, proprio perché solo prendendo coscienza della radice “genetica” dei bisogni individuali, dello sviluppo psicologico, dello stile di attaccamento possiamo occuparci del nostro benessere e del benessere delle nostre relazioni. Solo riconoscendoli possiamo occuparci dei nostri bisogni, se non li riconosciamo o peggio ancora li neghiamo, non possiamo occuparcene in modo sano né tanto meno dare ad essi una risposta.
Angela Tosoni
Bibliografia:
Maslow A. H. (1962), Verso una psicologia dell’essere. Astrolabio, Roma

domenica 29 luglio 2012

PICCOLI MIRACOLI CHE AVVENGONO IN GRUPPO...

care amiche del gruppo di san giovanni, visto che non ci vedremo in agosto condivido con voi una piccola chicca: io, dipendente affettiva, che scrivo in data odierna ad una persona spiegandogli che "nella vita le persone vanno e vengono e bisogna lasciarle andare se serve, e conservare i ricordi che in ogni caso ci hanno arricchito di esperienza" no vabbè è un passo troppo avanti!! so che capirete per questo condivido :) abbracci a presto!

GRAZIE DELLA CONDIVISIONE E BUONE VACANZE A TE!!!


Angela
Gruppo Organizzativo
G.A.D.A.

giovedì 19 luglio 2012

UN QUADRO DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA

"La dipendenza affettiva è un quadro psicopatologico in cui il “rapporto d’amore” è vissuto come condizione stessa della propria esistenza. Gli individui affetti da dipendenza affettiva vedono nell’altro la fonte di ogni benessere e, pur di mantenere e non rischiare di perdere l’oggetto amato sono disposti a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale fino al punto di annullare il proprio Sé. L’importanza attribuita all’oggetto d’amore spinge il dipendente affettivo a preservare il rapporto "sentimentale" a tutti costi fino ad assumere un atteggiamento di assoluta “dedizione” adoperandosi affinché i bisogni e i desideri dell’altro vengano soddisfatti. 
munch - separazione -Questo atteggiamento è spiegato dal fatto che nella dipendenza affettiva la persona vive costantemente nell'ansia di poter perdere la persona amata, evento considerato insopportabile e inconciliabile con il prosieguo della propria vita. Si parla appunto di dipendenza affettiva ( o dipendenza affettive) per sottolineare il fatto che, proprio come per le dipendenze da sostanze ( ad es., droga o alcol), il soggetto non può rinunciare, pena “la crisi d’astinenza”, all’oggetto amato ma anzi, con il passare del tempo, richiede “dosi” di presenza o vicinanza sempre maggiori.
Secondo Giddens, la dipendenza affettiva presenta le seguenti caratteristiche:
L'Ebbrezza. Ovvero, il soggetto dipendente tende a star bene solo quando è in presenza della persona amata;




La Dose. Il dipendente affettivo tende ad aumentare le “dosi” di presenza/vicinanza della persona amata;
La Perdita dell’Io. Il dipendente aspira ad uno stato di “fusione” con l’amato che può compromettere le capacità critiche e l’esame di realtà della persona. 
Da queste caratteristiche si evince una grande differenza tra l’amore sano e la dipendenza affettiva: nell’amore sano il desiderio di fusione con l’altro, l’idealizzazione, il desiderio di stare continuamente con la persona amata, l’ansia di separazione, l’"ossessione" per l’altro, le manifestazioni somatiche (batticuore, rossore, eccitazione) sono normali nella prima fase, ovvero nell’innamoramento, e tendono con il tempo a ridursi d’intensità fino ad essere sostituiti da forme più “mature” e reciproche di manifestazioni affettive come il rispetto, la stima, il volere il bene dell’altro; in altre parole, nell’amore sano i partner, citando Bowlby, assumono il ruolo di “base sicura” in cui entrambi, nella piena autonomia, possono rifornirsi di affetto e sicurezza.  

Nella dipendenza affettiva questo percorso non viene completato tanto che l’individuo vive un perenne desiderio di fusione con l’altro; accanto a questo aspetto centrale si possono osservare altre caratteriste tipiche dell’amore dipendente:  
E’ ossessivo. Il “dipendente affettivo” è ossessionato dall’idea del partner e dal timore che egli lo possa abbandonare. Il partner diventa il “chiodo fisso” fino al punto di non riuscire a pensare ad altro (può trascurare la quotidianità, il lavoro, i figli ecc..).
Evita i rischi di cambiamento. L’individuo dipendente evita ad ogni costo il cambiamento poiché questo potrebbe mettere a rischio il “rapporto”, e considerando che il rischio è rappresentato dall’abbandono, rinuncia ad ogni interesse e crescita personale (spesso anche professionale) “sacrificandosi” per il bene dell’altro. La stagnazione del rapporto spesso sortisce gli effetti opposti di quelli sperati poiché l’amore per definizione è un processo dinamico che si nutre dei cambiamenti e della crescita personale.
Manca di vera intimità. Lo stato di continua tensione, l’ansia di poter perdere il partner, il terrore dell’abbandono, la possessività, paradossalmente impediscono al dipendente affettivo di vivere uno stato di vera intimità e genuinità con l’altro.
È parassitario. Il dipendente affettivo, proprio come un parassita che vive grazie al “nutrimento” del organismo che lo ospita, si mette nella condizione di dipendere dell’altro per sentirsi vivo; egli rinuncia alle proprie aspettative, interessi e bisogni e fa propri i bisogni e i desideri dell’altro come se si dicesse “se muore (ovvero mi abbandona) l’organismo che mi ospita muoio anch’io”.
Richiede l’assoluta devozione dell’amato. Al dipendente affettivo non basta pensare all’altro ma richiede continuamente, con il fine di rassicurarsi circa la stabilità del rapporto, continue prove d’amore. Questo atteggiamento con il tempo “stressa” il partner che, al fine di salvaguardare la propria autonomia, può “trascurare” gli infiniti bisogni di conferma del dipendente con il risultato che questi, non sentendosi rassicurato, aumenterà ancora di più le richieste di prove d’amore creando un circolo vizioso che si autoalimenta.
 È manipolativo e Iperpossessivo. Come naturale conseguenza il dipendente affettivo esaspera, al fine di ottenere il bisogno di sicurezza emotiva di cui necessità, gli atteggiamenti di possessività e controllo cercando di “ spiare” non solo i comportamenti ma anche i pensieri del partner. Anche la manipolazione diventa una strategia funzionale al bisogno di sicurezza (i ricatti affettivi possono essere frequenti come pure gesti auto lesivi o minacce di suicidio).
Secondo, D. Miller ( 1994) la Dipendenza Affettiva  colpisce nella stragrande maggioranza dei casi, superiore al 90%, donne di diverse fasce di età dalle più giovani alle donne mature. Queste donne vivono, come già descritto in precedenza, le relazioni amorose alla ricerca di uno stato di fusione con il partner per il quale sono disposte a sacrificare tutti i loro interessi personali, desideri, aspettative, crescita personale e professionale, fino al punto di annullare se stesse a vantaggio dell’altro. Le aspirazioni personali vengono “rinnegate” a favore di quelle del partner il cui “amore”, interesse, affetto e sicurezza affettiva vengono considerati di vitale importanza per la propria esistenza. Queste donne passano la loro vita a mendicare l’“affetto”del’altro che idealizzano come proiezione del proprio Sé a cui cercano di dare valore, per sopprimere i sentimenti di inadeguatezza, vuoto, ansia, impotenza,scarsa autostima, non amabilità che si trovano a fronteggiare.
La Dipendenza d’Amore trova le radici nell’infanzia di queste donne i cui bisogni d’amore, affetto ed accudimento sono stati frustrati; nella relazione con le figure significative il bambino impara, attraverso le cure e la sensibilità dell’altro, che egli “è una persona degna d’amore”, è questo sentimento, che in genere lo accompagna per tutta la vita, che nutre l’amor proprio e la fiducia verso se stessi e gli altri.   Le donne che sviluppano la Dipendenza Affettiva non hanno introiettato questo sentimento ma, al contrario, si sono convinte “che i loro bisogni non contano” o che “ non sono degne di essere amate”.
Come sottolinea J.L. Herman (1992), molte di queste donne hanno una storia infantile di maltrattamenti fisici e psicologici, spesso sono state vittime di abusi sessuali o molestie, o comunque i loro bisogni sono stati negati o frustrati. Da adulte, queste donne tendono a negare i propri bisogni, presentano una bassa autostima e la loro identità appare labile (necessitando dell’altro per essere consolidata). In riferimento ai possibili traumi subiti (abusi sessuali o violenze fisiche e/o psicologiche) alcuni autori, come D. Miller, hanno ipotizzato un paragone tra Dipendenza Affettiva e Disturbo Post Traumatico da Stress che presenta un quadro sintomatologico caratterizzato da: dissociazione, panico, disturbi del sonno, irritabilità, perdita di concentrazione, flash back, istinto a fuggire ecc.
E’ molto probabile che nell’eziologia della Dipendenza Affettiva partecipano diverse concause: come lo stile di attaccamento e i modelli operativi interni che si sviluppano nell’infanzia e regolano lo stile e le caratteristiche con un cui una persona si relaziona agli altri (Sicuro, Evitante, ambivalente, Disorganizzato), l’influenza culturale che nel recente passato ha relegato le donne a ruoli subordinati e passivi, infine la nuova sociologia della famiglia che, rispetto alle famiglie tradizionali stabili e coese, presenta legami sempre più ambigui ed instabili". 

                                                                                                               Dr Gaspare Costa
             http://www.attacchidipanico-ansia.it/attacchidipanico-ansia/dipendenzaaffettiva.htm

lunedì 21 maggio 2012

LE RAGIONI DI UN SANO EGOISMO



“Se non sei egoista, non sarai generoso; solo una persona profondamente egoista può essere altruista. Ma questo va compreso, perché sembra un paradosso.

Che cosa vuol dire essere egoisti? Il primo elemento, quello fondamentale, è essere concentrati su di sé. Il secondo, anch’esso importante, è cercare sempre la propria beatitudine. Se sei centrato su di te, sarai egoista in tutto ciò che farai. 

Potresti metterti al servizio degli altri, ma solo perché ti piace, perché ami farlo, ti senti felice ed estatico mentre lo fai: solo perché ti senti agire così; non stai adempiendo alcun obbligo, non stai servendo l’umanità. Non sei un grande martire, non ti stai sacrificando. Queste sono tutte parole prive di senso. Semplicemente, sei felice a modo tuo. Fai ciò che ti fa sentire bene. (…) 

Una persona centrata su di sé è sempre alla ricerca della propria felicità. E la cosa più bella è che più cerchi la tua felicità, più aiuterai gli altri ad essere felici. Infatti, questo è l’unico modo al mondo, di essere felici. Se tutti intorno a te sono infelici, non puoi essere felice, perché l’uomo non è un’isola, è parte di un grande continente. 

Se vuoi essere felice, dovrai aiutare coloro che ti circondano a esserlo; allora, e solo allora, potrai essere felice. L’amore, per me, è una delle cose più egoiste che esistano.”

Osho, Con te e senza di te.

martedì 10 aprile 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA: ISTRUZIONI PER L'USO



Come si riconosce una persona che soffre di Dipendenza Affettiva?


Quando la propria serenità, la fiducia nel proprio valore, hanno origine unicamente dal giudizio e dallo stato d'animo dell'altro, quando si vivono gelosie ingiustificate (con comportamenti come il controllare il telefonino o l'agenda del partner, seguirlo, etc) e si pensa ossessivamente al partner dimenticandosi di sé, dei propri interessi forse si sta già amando troppo. 

Il "dipendente affettivo" non riesce a rimanere solo: sentimenti angoscianti come un senso di vuoto e di smarrimento potrebbero travolgerlo nei momenti di separazione così come l'impressione di poter morire a causa dell'assenza del partner. Inoltre sentimenti di odio, apparentemente senza motivo, sono seguiti dal desiderio di essere puniti, si è predisposti a svalutare i sentimenti e si ha molta paura a mostrarsi per quello che si è. 
Comuni sono anche il timore di essere esclusi, annullati e il continuo oscillare tra desiderio e la
paura di "essere vicini" al partner. L'ansia predomina lo scenario della dipendenza.

Perchè una persona può diventare "dipendente affettivamente"? Quali sono le cause? 

La dipendenza affettiva, così come la maggior parte dei disagi psichici, trova le sue origini nei propri vissuti infantili. Esperienze di abbandono, violenze fisiche e psichiche lasciano un segno doloroso e possono predisporre la persona a "tormentarsi d'amore" nella vita adulta. Per lo più si tratta di bambine (questo tipo di dipendenza ha connotazioni tipicamente femminili) costrette a diventare adulte prima del tempo, obbligate per forza di cose, ad occuparsi del genitore o dei fratelli. Bimbe buone e brave, angioletti che hanno imparato presto a cucinare, a fare le pulizie, andare bene a scuola. 

Quando si diventa "grandi" si sente l'esigenza di continuare a salvare le persone care ripetendo un copione familiare. Inoltre non è da sottovalutare l'influenza di fattori storici e sociali che hanno imposto alla donna la devozione amorosa come massima virtù. La devozione amorosa non riguarda solamente il partner ma anche il proprio genitore, i propri figli. Per la donna queste sono persone da amare in modo assoluto, cioè in virtù di un vero e proprio annullamento di sé. Senza questo "dedicarsi" al bene altrui e senza questo rendersi "amabile", una donna semplicemente non si sente donna: se un uomo la rifiuta non solo si sente brutta o non desiderabile, ma non si sente affatto donna.


E' possibile tracciare un identikit della persona tipo che soffre di tale malattia?                             

Di solito sono donne innamorate di un uomo sposato, di una persona già impegnata, vivono nellaperenne speranza che lui ritagli un po' di tempo per loro e addirittura lasci la propria donna.Speranza, questa, alimentata dalle ricorrenti promesse di lui. Sono spesso compagne di alcolisti otossicodipendenti, mogli vittime di violenze fisiche e psicologiche, ma anche innamorate silenti delcapoufficio da cui si lasciano maltrattare pur di sentirsi importanti. Donne abituate a considerarsi fragili, dipendenti, bisognose di protezione e di un punto di riferimento. 

Le donne che amano troppo hanno la vocazione a sopportare qualsiasi mancanza di rispetto da parte dell'innamorato purchè le rassicuri e, per evitare che lui fugga, si adatteranno a fare da infermiera, da mamma, confidente etc.Donne indebolite da una scarsa fiducia in loro stesse, con alla base una predominante sensazione di non poter vivere senza l'uomo che amano e che sentono di contare qualcosa solo nel ruolo disofferenti salvatrici.E' frequente che cerchino di manipolare il partner per cercare di farlo cambiare. Hanno la tendenza ad attribuire la responsabilità della propria sofferenza al fato e non a loro stesse.                                        


Nonostante il fenomeno dell'"amare troppo" sia tipicamente femminile, anche gli uomini possonosoffrire la dipendenza affettiva, vivendo angosce che hanno origine nell'infanzia e nutrendo unascarsa considerazione di sé (proprio come le donne che amano troppo).L'uomo, più della donna, tende ad alleviare queste sofferenze investendo gran parte delle energienel lavoro, impegnandosi in hobby e sport, cercando, in definitiva, delle risposte "al di fuori di sé" più che "dentro di sé".

Quali sono le conseguenze della dipendenza affettiva?
Le persone che amano troppo associano se stessi all'identità della persona amata. Si sviluppa unagrande paura per ogni cambiamento, si tende infatti a soffocare lo sviluppo delle capacità individuali e ogni interesse che vada al di là del partner. Ci si disabitua a pensare a sé, alla proprie passioni, ad una creatività che non si sa nemmeno di possedere. Si diviene ossessionati da aspettative irrealistiche e ci si convince che, operando a favore del compagno, si metterà al sicuro il rapporto.

Vissuti deludenti e risentimento saranno sufficienti a rendere inefficace un simile progetto. Si corre il rischio di cercare uomini solo per riempire grandi vuoti interiori. Non è possibile costruire una relazione con l'altro se prima non si stabilisce una relazione con se stessi. Quando si ama troppo non si sta amando veramente, le conseguenze della paura e della dipendenza, tipiche della persona tormentata d'amore, sono incompatibili con l'amore autentico.


Come reagisce il partner di fronte a questa situazione?
Spesso accanto ad una donna "salvatrice" c'è un uomo che non si prende le responsabilità, accanto ad una donna che è stata abbandonata da piccola, può esserci un uomo che la trascura e la tratta male. E, altrettanto spesso, il compagno della donna "affettivamente dipendente" soffre a sua volta di qualche tipo di dipendenza o disagio.

Guardandola in questo modo si può dire che anche l'uomo della "donna tormentata d'amore" soffre, non è in grado di vivere un amore maturo e ripete egli stesso un copione che non gli permetterà di realizzare appieno se stesso all'interno di una coppia.Generalmente sono uomini incapaci di esprimere affetto.


                   
   Tratto da un'intervista alla dott.sa Mariacandida Mazzilli

                           www.psicologiadonna.it

giovedì 1 marzo 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA E DINTORNI


"Una premessa è d’obbligo quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno di approvazione, empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri, per sostenerci e per regolare la nostra autostima.
La vera indipendenza non è né possibile né auspicabile. Ma la dipendenza affettiva può raggiungere una forma così estrema da diventare patologica.
In questi casi la persona non è in grado di prendere delle decisioni da sola, ha un comportamento sottomesso verso gli altri, ha sempre bisogno di rassicurazioni e non è in grado di funzionare bene senza qualcun altro che si prenda cura di lei (G. O. Gabbard, 1995).
Le persone dipendenti sono schive e inibite, quando sono sole si sentono indifese: vivono nel terrore di essere abbandonate e sono letteralmente sconvolte quando qualche relazione stretta finisce.
Per farsi ben volere sono disposte a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, possono accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005).

  • Cos’e' la dipendenza affettiva?psicologo psicoterapeuta a roma per psicoterapia per la dipendenza affettiva, cosa è la dipendenza affettiva, quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva, come si mostra la dipendenza affettiva, caratteristiche delle famiglie in cui sono cresciute le persone con una dipendenza affettiva, cosa fare per la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva e' una condizione relazionale negativa che e' caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità.
Tale condizione, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere interrotta per ricercare un nuovo stato di serenità. Qualora ciò risulti impossibile si e' soliti parlare di “dipendenza affettiva”.

  • Quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva dal partner?psicologo psicoterapeuta a roma per psicoterapia per la dipendenza affettiva, cosa è la dipendenza affettiva, quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva, come si mostra la dipendenza affettiva, caratteristiche delle famiglie in cui sono cresciute le persone con una dipendenza affettiva, cosa fare per la dipendenza affettiva, terapia per le dipendenze affettive a roma, studio di psicoterapia psiconauti a roma
- Una prima caratteristica della dipendenza affettivae' la difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.
L’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza; il benessere emotivo, a volte anche la salute e la sicurezza, vengono messi a repentaglio per il benessere dell’altro.
Troppa energia vitale e' impiegata nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, poca ne rimane per attività autodeterminate, rivolte al raggiungimento di obiettivi precisi.
Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale perché sempre prese, in quel momento, da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro energia vitale.
- La seconda caratteristica è un atteggiamento negativo verso il Sé, per cui si ha un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli” (M. Selvini Palazzoni, S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentino, 1998).
Queste persone soffrono di un profondo senso di inadeguatezza.
Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili, sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male.
- Un’altra caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti da amore è la paura di cambiare. Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse.
Chi soffre di dipendenza affettiva è ossessionato da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche.
Queste persone ritengono che occupandosi sempre dell'altro la loro relazione diventi stabile e duratura.
Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura "amplificato". Non ci si rende conto che l’amore richiede onestà e integrità personale perché l’amore e' un accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.
Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore.
- Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata e' irraggiungibile per colui o colei che ne dipende.
Anzi, in questi casi si può affermare che la dipendenza affettiva si fonda sul rifiuto, anzi, se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti, la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di Sè, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro risolvibilità.
Quello che incatena nella dipendenza affettiva e' l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela.
La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo".


                    Tratto da un'articolo della dott.ssa 
                               Simonetta Castrica
                                                                              
                                www.psiconauti.it

sabato 4 febbraio 2012

LA GIUSTA DISTANZA


"Voi siete nati insieme e dovete stare sempre insieme
Ma fate in modo che il vostro amore non sia una prigione
Riempitivi la coppa l'uno con l'altro,
ma non bevete da una sola coppa.
Scambiatevi a vicenda il vostro pane,
ma non mangiate dallo stesso pane.
Cantate insieme, danzate e siate allegri,
ma che ciascuno sia solo.
Come le corde di un liuto che sono sole,
anche se vibrano per la stessa musica.
Datevi il vostro cuore, ma non lo date in custodia l'uno all'altro.
Poiché solo la mano della vita
Può contenere i Vostri cuori.
E state insieme ma non troppo vicini,
poiché le colonne del tempio sono distanziate
e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro".
                    
                                                                     Kahil Gibran

martedì 17 gennaio 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA, NO GRAZIE!




Si parla di dipendenza affettiva quando il “rapporto d’amore” è vissuto come condizione stessa della propria esistenza.
Le persone che ne sono affette vedono nell’altro la fonte di ogni benessere e, pur di non rischiare di perdere l’oggetto del loro amore, sono disposte a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale fino al punto di annullare il proprio Sé.
Queste persone passano la loro vita a mendicare l’“affetto”dell’altro; lo idealizzano per sopperire ai sentimenti di inadeguatezza, vuoto, ansia, impotenza, scarsa autostima, non amabilità, che si trovano a fronteggiare.
L’importanza attribuita all’oggetto amato spinge il dipendente affettivo a preservare il rapporto "sentimentale" ad ogni costo, fino ad assumere un atteggiamento di assoluta “dedizione”, adoperandosi affinché i bisogni e i desideri dell’altro vengano sempre soddisfatti.
Questo atteggiamento è spiegato dal fatto che, nella dipendenza affettiva,    la persona vive costantemente nel terrore di poter perdere la persona amata, evento considerato insopportabile.

Si definisce appunto “dipendenza” affettiva per sottolineare il fatto che, proprio come per le dipendenze da sostanze (ad es., droga, alcol, tabacco), il soggetto non può rinunciare, (pena “la crisi d’astinenza”) all’oggetto amato, ma anzi, con il passare del tempo, richiede “dosi” di presenza o vicinanza sempre maggiori.
La Dipendenza d’Amore trova le radici nell’infanzia di queste persone, i cui bisogni d’amore, affetto ed accudimento sono stati frustrati. Nella relazione con le figure significative infatti il bambino impara, attraverso le cure e la sensibilità dell’altro, che egli “è una persona degna d’amore”: è questo sentimento, a nutrire il suo amor proprio e la sua fiducia verso se stessi e gli altri.  

I soggetti che sviluppano la Dipendenza Affettiva non hanno introiettato questo sentimento ma, al contrario, si sono convinte (talvolta in modo inconsapevole) “che i loro bisogni non contano” o che “ non sono degne di essere amate”.



Ma qual è il margine di intervento in caso di dipendenza affettiva?

Cosa si può concretamente fare per uscirne?



Sicuramente il primo e imprescindibile passo consiste nel rafforzare la propria identità e conseguentemente la propria autostima. Questo significa imparare a conoscerci nei nostri bisogni e desideri più autentici ed è possibile soltanto attraverso una serie di esplorazioni in grado di darci delle indicazioni su noi stessi e in particolar modo su quelle parti di noi che di solito tendiamo a non far emergere, a non riconoscere.

Soltanto quando si è in grado di soddisfare i propri bisogni è possibile operare un autoaccudimento che ci rende genitori buoni di noi stessi e ci rende meno dipendenti dal giudizio degli altri.

Ciò significa, scendendo nel concreto, crearsi una vita ricca e piena, assumersi la responsabilità delle proprie scelte senza cercare più un'appiglio, un ancora di salvataggio nell'altro, che rappresenterà per noi, non più un approdo di cui abbiamo disperato bisogno, ma un'isola su cui sostare serenamente per qualche tempo (condivisione), per poi poter riprendere il largo (autonomia ed esplorazione); fermo restando che quando lo desidereremo potremo sempre farci ritorno. Ma sarà una nostra libera scelta, non più un disperato bisogno.

Conoscersi, accettarsi imparare ad amarsi per quello che si è, per poi prendere in mano le redini della nostra vita e la responsabilità del nostro cambiamento.
Si tratta sicuramente di un cammino arduo, con possibili ricadute e giornate no, ma a poco a poco possiamo imparare a prenderci davvero cura di noi e ad essere "integrati nella nostra complessità e pienezza".

In questo senso un gruppo di autoaiuto agevola il processo di cambiamento perché, attraverso la condivisione, si esce dall'isolamento e grazie al sostegno e all'incoraggiamento dei "compagni di viaggio" si riescono a mettere in atto una serie di strategie in grado di modificare i nostri pensieri e i nostri comportamenti disfunzionali.

Il Gruppo di Autoaiuto Gada ha come intento proprio quello di fornire accoglienza e sostegno a tutti coloro che si riconoscono dipendenti affettivi o che in ogni modo riscontrano nella loro vita difficoltà relazionali.      

                                                                   Michaela Sbarra