venerdì 7 settembre 2012

DIPENDENZA AFFETTIVA E BISOGNI PRIMARI

Cos’è il bisogno? In psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale degli elementi che costituiscono il benessere della persona. E’ una tensione imperativa dovuta a qualcosa che manca, ad uno squilibrio dell’organismo che determina una privazione e come tali i bisogni possono essere considerati delle spinte motivazionali ad agire, come se una forza ci spinge alla ricerca di una risposta soddisfacente. Il bisogno viene definito primario quando è impellente e deriva da sollecitazioni organiche che sono radicali, estreme e necessarie a ristabilire un equilibrio fisiologico; ad esempio la fame, la sete, il sonno: tutti noi abbiamo esperienza della spinta motivazionale che ci porta ad attuare un comportamento, alla ricerca del benessere psicofisico. Negli anni 50 Abraham Maslow, ha definito una gerarchia dei bisogni. Alla base di questa piramide Maslow ha collocato i bisogni fondamentali dell’individuo, legati cioè alla sopravvivenza, definendoli bisogni primari: ed allora vediamo che al primo posto ritroviamo i bisogni fisiologi. Immediatamente dopo, sempre tra i bisogni primari, troviamo i bisogni di sicurezza, di affiliazione, di accudimento, di attaccamento, di protezione. Questi bisogni sono considerati degli step, dei gradini, e cioè non si può soddisfare un bisogno superiore nella scala gerarchica se non si è soddisfatto un bisogno immediatamente precedente. Infatti la piramide definisce i bisogni partendo da quelli primari che si esplicitano sin dai primi giorni della vita del bambino per arrivare via via a bisogni più articolati e complessi che caratterizzano la vita dell’adulto.

Ora, perché parliamo di bisogni in relazione alla dipendenza affettiva?Perché le nostre relazioni, le relazioni umane, non solo la relazione col partner, anche le relazioni con i nostri familiari, i nostri amici, persino quelle con i nostri colleghi, tutte le relazioni che sono per noi significative soddisfano dei bisogni fondamentali: quando costruiamo una relazione di tipo significativo, lo facciamo per soddisfare il nostro bisogno di sicurezza, di affiliazione, di attaccamento, di protezione, di appartenenza.


Quante volte, nei momenti difficili che ci ritroviamo a vivere, ci è di conforto la parola di un amico che ci comprende e ci supporta? O ancora, quanto ci fa sentire meglio la condivisione di un’esperienza, bella o brutta che sia, se accanto a noi c’è qualcuno che ci piace, che ci sta vicino, che ci ama, che ci capisce? E quanto ci gratifica l’approvazione, l’incoraggiamento o anche la sola idea di piacere a qualcuno che per noi conta! Per dirla in breve, l’uomo è un animale sociale e tutto nella sua esistenza si compie attraverso la relazione con l’altro. Non si può non stare in relazione.
Quindi quando parliamo di relazioni affettive parliamo di soddisfazione di bisogni fondamentali per l’individuo. Ogni volta che instauriamo una relazione affettiva ci dovremmo chiedere: quale mio bisogno soddisfa questa relazione? Ovviamente, ciò che a noi interessa, per affrontare il tema della dipendenza affettiva, non è una relazione qualsiasi, il nostro focus, il nostro oggetto di attenzione è la relazione per eccellenza e cioè la relazione amorosa. Possiamo considerare la relazione amorosa come fonte di nutrimento per il nostro bisogno di sicurezza e di appartenenza, essere con l’altro, con la persona che amiamo, ci fa sentire realizzati; sentirci legati in una relazione privilegiata con qualcuno che ci piace è qualcosa di altamente gratificante e soddisfacente. La relazione amorosa quindi, soddisfa il nostro bisogno di appartenenza in quanto nell’altro ci riconosciamo, ci ritroviamo, e allo stesso tempo la relazione amorosa soddisfa il nostro bisogno di trascendenza, il bisogno di esistere per l’altro e non solo per se stessi. Nell’altro ci si ritrova e si raggiunge una completezza attraverso un equilibrio di dare e avere.
Parliamo di dipendenza affettiva quando quell’equilibrio di dare e avere che caratterizza le relazioni di coppia si altera. Secondo alcuni autori la dipendenza affettiva è una difficoltà relazionale che interessa al 90% le donne, ma sembrerebbe in crescente aumento anche tra gli uomini. Chi soffre di dipendenza affettiva, sia esso uomo o donna, tende a ricercare nella relazione amorosa uno stato fusionale con il partner, il dipendente affettivo ha un’eccessiva necessità di simbiosi nei confronti della persona amata, non solo, il partner, la persona amata diventa così prioritario su tutto che si è pronti a sacrificare ogni cosa: interessi personali, desideri, aspettative, ambizioni professionali, crescita personale. Il dipendente affettivo vive nei confronti della persona amata in una condizione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accudito, riconosciuto, amato, considerato, come se l’altro fosse vitale, necessario al proprio essere. E siccome l’altro è vissuto come necessità imprescindibile, tutto il resto passa in secondo piano. Vengono meno tutte quelle funzioni dell’io che determinano la percezione di se stessi come esseri autosufficienti, quali la propria autonomia, la propria autostima, il rispetto di se stessi.
In sostanza, il dipendente affettivo rinuncia a sé, ai propri bisogni in favore dei bisogni dell’altro, ed ecco perché nell’occuparci di dipendenza affettiva è opportuno farlo partendo proprio dai bisogni. Il dipendente affettivo è disposto a rinuncia ai propri bisogni e alle proprie necessità pur di mantenere in essere la relazione, anche quando la relazione non è più gratificante, anche quando la relazione ha un costo molto alto.
A questo punto, la domanda che ci dobbiamo rivolgere è: perché si arriva a rinunciare a se stessi pur di non perdere l’altro? Spesso, dietro una relazione disfunzionale di tipo dipendente soggiacciono delle nostre paure nascoste, che sono direttamente collegate a quei bisogni di sicurezza e protezione di cui abbiamo parlato. La paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine. Queste paure sono paure di natura antica, sono le paure esistenziali che hanno da sempre caratterizzato l’essere al mondo dell’uomo. Queste paure sono la “cifra” del nostro essere “umani”, ci danno la dimensione e i limiti della nostra umanità. Ci ricollegano con la nostra venuta al mondo, con l’essere riconosciuti e accettati come individui, con l’essere amati e accettati per ciò che siamo.
Le paure antiche si ricollegano alla prima infanzia, al rapporto simbiotico che nei primi mesi di vita il bambino sviluppa con la madre, infatti i primi mesi di vita sono fondamentali per lo sviluppo psicologico dell’individuo: è in questo periodo che si sviluppa uno stile di attaccamento che sarà alla base (cosidetto “effetto base sicura”) della futura capacità di essere in relazione. E’ da questa base che si parte per avviarsi nella vita di relazione con il mondo, in un viaggio che si snoda dall’io indifferenziato del neonato, all’io identificato dell’adulto capace di entrare in relazione con l’altro, attraverso un processo di identificazione che si realizza salendo via via nella scala dei bisogni individuali delineati da Maslow.
Nella sofferenza sperimentata dal dipendente affettivo, nella rinuncia di sé che si vive come dipendenti, si ritorna ad uno stato simbiotico, ad un bisogno, come abbiamo detto precedentemente di tipo fusionale, uno stato dove viene meno l’autonomia individuale, costruita attraverso la crescita e lo sviluppo personale. E’ per questo che il focus dell’attenzione è sui bisogni, proprio perché solo prendendo coscienza della radice “genetica” dei bisogni individuali, dello sviluppo psicologico, dello stile di attaccamento possiamo occuparci del nostro benessere e del benessere delle nostre relazioni. Solo riconoscendoli possiamo occuparci dei nostri bisogni, se non li riconosciamo o peggio ancora li neghiamo, non possiamo occuparcene in modo sano né tanto meno dare ad essi una risposta.
Angela Tosoni
Bibliografia:
Maslow A. H. (1962), Verso una psicologia dell’essere. Astrolabio, Roma

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